Secondo i dati dell'istituto sul 2010, non dichiarati in media per ciascun contribuente più di 2mila euro. In cima alla classifica degli evasori si trovano gli affittuari e gli imprenditori, con più della metà del proprio reddito sommerso
L’anno scorso, scrive l’Irpef nel suo rapporto finale, per ciascun contribuente non sono stati dichiarati al fisco 2.093 euro. Si tratta di medie, certo, e non tutti nel Paese evadono nella stessa misura. Al centro, la differenza tra l’imposta versata e quella dovuta è pari in media a 2.936 euro, il 17,4 per cento. Di poco più bassa al Nord, dove si evade 2.532 euro a contribuente, pari al 14,5 per cento, e ancora di più al Sud, dove il tax gap si attesta al 7,9 per cento, cioè 950 euro di redditi Irpef evasi a testa. Soprattutto il dato del Mezzogiorno va però letto insieme alle stime sul lavoro nero, punto di partenza per tutti i calcoli successivi, ma non perfettamente coincidente con la differenza di imposte.
Particolarmente preoccupante è la situazione delle imprese. “Sarà dura confrontarsi con gli imprenditori se non avremo varato una riforma che abbassi significativamente la pressione fiscale totale”, commenta in un’intervista all’Espresso il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia. Eppure sono proprio gli imprenditori, insieme più in generale ai lavoratori autonomi, a trovarsi ai primi posto tra gli evasori. Per l’esattezza, dichiarano il 56,3 per cento in meno, che tradotto in cifre equivale a una media di più di 15mila euro a testa. Secondi solo ai proprietari di immobili dati in affitto, che trattengono l’83,7 per cento delle imposte, pari a quasi 18mila euro pro capite. Un trend contrario è invece quello dei pensionati, che versano il 7,7 per cento in più.
A questo quadro di evasione fiscale, sottolinea l’Irpef, va poi aggiunta la quota di economia sommersa, che in Italia vale da un minimo di 255 ad un massimo di 275 miliardi di euro. Colpa, per il 37 per cento, del lavoro irregolare. I dati, riferiti al 2008, raccontano di 102 miliardi ‘risparmiati’ dai datori di lavoro con manodopera in nero, mentre un altro 55,6 per cento del sommerso – pari a 153 miliardi – è dovuto alla “correzione del fatturato e dei costi intermedi”. Dagli studi dell’istituto emerge però che la quota di lavoro in nero è andata diminuendo negli anni: dal 39,5 per cento del 2000 al 37,2 per cento del 2008. Una riduzione che però nasconde un’altra problematica, quella del precariato. Scrive infatti l’Irpef che “alle riduzioni delle unità di lavoro non regolari si è accompagnata, nello stesso periodo, una crescita delle unità di lavoro regolari”. Aumento su cui hanno inciso, si sottolinea nel rapporto, nuove tipologie contrattuali, come il lavoro interinale.