Ho riflettuto molto prima di scrivere queste righe sul perché scrivere un blog sulla sanità italiana, e mi sono chiesto se qualcuno ne senta davvero il bisogno.
Vorrei iniziare con alcune considerazioni: Internet è un mezzo potentissimo, permette la libera diffusione di idee, consente la comunicazione tra gente e lo scambio di opinioni, e tutti sappiamo che l’informazione è vitale e un blog dà a chiunque l’opportunità di scambiare esperienze. Queste motivazioni sono assolutamente reali, ma non sufficienti a spiegare perché ci si debba imbarcare in un’avventura come questa, e francamente sembrano pure un po’ ovvie e scontate.
In realtà le ragioni che mi hanno fatto nascere la voglia di trattare un argomento simile sono diverse. Prima di tutto la mia storia professionale, sono un medico che ha sperimentato dal vivo l’esperienza della chiusura dell’Ospedale in cui lavorava, il San Giacomo di Roma (fondato agli inizi del XIV secolo e con una storia di assistenza ai malati di quasi 700 anni), credo l’unica struttura sanitaria al mondo ad essere stata cancellata in soli 70 giorni dopo ristrutturazioni costate decine di milioni di euro.
Inoltre un punto cruciale è che la sanità rappresenta l’80% delle spese nel bilancio di ogni singola regione italiana; l’Italia spende circa il 9% del suo PIL per la sanità (il che non è poco ma è meno di altri paesi europei come Inghilterra, Francia o Germania).
La tutela della salute è un diritto garantito dalla Costituzione Italiana, eppure è in atto un consapevole e progressivo ritiro dello stato dalla gestione della sanità perché costa troppo, e la spesa cresce di anno in anno. La popolazione invecchia (nel nostro paese abbiamo il 20% di over 65), e questo innalzamento dell’età media ha come conseguenza un aumento dei costi sanitari: le terapie sono più care, le tecnologie diagnostiche o terapeutiche diventano più sofisticate e più efficaci, ma fanno lievitare i costi.
Da una parte insomma abbiamo forti spese per la sanità, dall’altra un sistema sanitario inadeguato alla domanda di salute della gente, almeno in molte regioni d’Italia: liste d’attesa interminabili, tempi di sosta biblici ai pronto soccorso, mancanza di posti letto, casi di malasanità. Da anni però i nostri politici non fanno altro che ricordarci che il sistema Italia è in deficit, c’è la crisi e che le risorse finanziarie disponibili diminuiscono. La conseguenza è che negli ultimi 15 anni si è assistito da un lato alla riduzione dei fondi per la sanità e al blocco delle assunzioni degli operatori sanitari, dall’altro si sono potenziati compartimenti “produttivi” e “virtuosi”, come l’ospedalità privata o classificata (ospedalità religiosa) a scapito di quella pubblica, troppo sprecona.
Oggi, poi, un terzo dei medici del più grande Ospedale romano, il Policlinico Umberto I, è costituito da precari, professionisti con capacità assolutamente analoghe a quelle dei loro colleghi regolarmente assunti, che svolgono orari di servizio comparabili, ma che, sulla base di una recente delibera del direttore dgnerale dell’Azienda Policlinico, guadagnano al massimo 40.000 € lordi l’anno, ma c’è anche chi ne guadagna 20.000, sempre lordi.
Non è un caso quindi che i programmi sanitari di molte regioni prevedano la riduzione di posti letto e la chiusura di ospedali, e non è un caso che molti ospedali lamentino la carenza di personale e la difficoltà a garantire un’adeguata assistenza sanitaria.
Questi sono solo i primi spunti di riflessione, su cui torneremo a parlare nei prossimi post.