In un posto normale, in un Paese normale, l’istinto primario dovrebbe essere la protezione dei propri figli, dei giovani che saranno il futuro in generale e anche, bisogna dirlo, di ciascuno di noi, poiché garantiranno con il loro lavoro il funzionamento del sistema. Oggi invece lo sport preferito di chi ci governa è rendere la vita futura dei giovani ingestibile, se non proprio impossibile, con particolare accanimento verso chi già fatica ad arrivare a fine mese. Guardiamo il caso degli studenti: se ricordate, nell’ultima legge finanziaria è confermata la riduzione del fondo per le borse di studio di circa il 90% (esatto, proprio del novanta per cento), poco conta se poi solo per quest’anno ci hanno messo una pezza, dato che la prospettiva resta invariata. Nel Dl 70 del 13 maggio scorso si parla poi (art. 9) di istituire una fondazione per la gestione del Fondo per il Merito previsto dalla legge 240/2010. La dotazione di questo fondo sarà di 9 (nove) milioni di euro iniziali più 1 (uno) milione di euro ogni anno. Si lascia la possibilità, magnanimamente, di ricevere fondi dall’esterno.
Facciamo due conti. Gli studenti universitari che hanno diritto a una borsa di studio sono circa 200 mila. 10 milioni diviso 200mila fa… avete trovato? 50 euro pro capite, una vera fortuna. Ovviamente al Governo si aspettano industriali a frotte che non vedono l’ora di versare valanghe di soldi in borse di studio per portarle a una cifra ragionevole.
In questo contesto, ecco che dal senatore Pietro Ichino con altri firmatari arriva una proposta “bipartisan”, sotto forma di interrogazione parlamentare, che suggerisce di incrementare le tasse universitarie (citano il valore limite di 9.000 sterline) e di fare agli studenti prestiti (non più borse, quindi) a un tasso del 2,2-3%, per salvare gli atenei italiani dal baratro dei tagli di finanziamento. Andrea Ichino, fratello del Senatore, ha rilanciato questa proposta del Gruppo2003 sul Sole24Ore del 26 maggio. Di questa interrogazione ha già parlato Francesca Coin nel suo post, ma credo sia opportuno soffermarsi ancora su questo tema così rilevante: se questo approccio vince, la scuola e l’alta formazione diventeranno sempre più un miraggio per molti e un lusso di pochi (ricchi).
Vi consiglio vivamente in proposito la lettura di un articolo interessante che descrive la situazione negli Usa, dove i prestiti sono la norma. Gli studenti americani hanno contratto debiti complessivamente per circa 1.000 miliardi di dollari (più o meno 2/3 del Pil italiano, circa 24 mila dollari a testa. Come nel caso del pollo, se tutti mangiamo in media mezzo pollo non vuol dire che saremo tutti sazi, ci saranno quindi studenti con debiti ben maggiori di quella cifra). Esistono anche altri, come la Svezia, che danno prestiti agli studenti, ma contemporaneamente finanziano l’università e la ricerca a livelli per noi inimmaginabili.
Come al solito, si tende a copiare i sistemi esteri guardandone solo gli aspetti che più fanno comodo, dimenticando quanto la gente comune fatichi da tempo, con il precariato imperante, ad arrivare a fine mese, con la prospettiva poi di pensioni da fame. Come al solito, si tende a copiare dagli altri i sistemi che già mostrano la corda e conseguenze negative tutt’altro che trascurabili, facendo finta che queste conseguenze non esistano.
Gli studenti italiani, per la difficile situazione attuale, hanno già oggi una mobilità sempre più ridotta, a causa dell’incessante aumento del costo della vita. I loro genitori, spesso precari, percepiscono stipendi sempre più bassi e non li possono più aiutare. I prestiti d’onore però, qualcuno obietterà, esistono già e sono una buona cosa. Hanno ragione, i prestiti d’onore esistono da tempo, ma sono dati per permettere ai giovani di lanciare una propria attività imprenditoriale, non per il loro percorso di formazione. La differenza non è da poco.
Trasformare di fatto le borse di studio in prestiti d’onore vuol dire che lo Stato si vuol comportare con gli studenti come una banca. Diversi studi internazionali, come questo dell’Ocse, mostrano tuttavia come l’investimento (a “fondo perduto”) sulla formazione dei giovani sia un investimento tra i più redditizi per uno Stato: che bisogno c’è quindi di guadagnarci ulteriormente, a danno degli studenti meno abbienti e delle loro famiglie? Fare prestiti e non dare borse è lucrare sugli studenti indebitandoli, un po’ come se un genitore mettesse un’ipoteca sulla testa dei propri figli essendone poi il beneficiario.
Siamo certamente in una situazione economica difficile, ma le soluzioni non possono venire dall’ipotecare il futuro dei giovani rendendo le loro vite precarie e incerte. Non si può per questo venir meno al compito fondamentale sancito dalla Costituzione del diritto di tutti allo studio. Sentiamo però spesso parlare di speranza, di dare fiducia, ma quale fiducia può avere chi sarà costretto a vivere nella prospettiva di passare la vita a ripagare debiti?
di Guido Mula