Eccolo, ancora una volta, “il richiamo della foresta del líder máximo”: inderogabile come un fioretto, puntuale come la morte, immancabile come tutte le proposte autolesioniste di questi anni: “Facciamo un governissimo?”.
Allora è proprio vero che queste elezioni ad alcuni non hanno insegnato nulla. Cadono le roccaforti del centrodestra, vincono i candidati scelti dal popolo del centrosinistra grazie alle primarie (quasi mai quelli che volevano i líder máximi…), saltano gli schemi pataccari (si puó correre solo con candidati moderati, in certe città é impossibile vincere, senza il terzo polo non si va da nessuna parte), si dimostra che gli elettori hanno molto più fiuto dei capi di stato maggiore del centrosinistra.
Ci eravamo illusi che i dirigenti di quella coalizione imparassero qualcosa da queste elezioni. Poi ieri abbiamo letto l’intervista a Massimo D’Alema di Massimo Giannini de La Repubblica (praticamente un format), in cui l’ex premier dice agli uomini di Pdl e Lega: “Servono una manovra equa e capace di rilanciare lo sviluppo, una riforma elettorale e poi nuove elezioni. Indichino loro – dice D’Alema – una persona che può realizzare questa agenda in pochi mesi. Noi – aggiunge – possiamo prenderci anche una quota di responsabilità”.
Insomma, il voto dice che si puó mandare a casa il centrodestra, e D’Alema gli propone subito un patto. Deve essere più forte di lui. Gli elettori chiedono di voltare pagina, lui subito progetta l’accordicchio con gli orfani del Cavaliere. Il paese non si é ancora ripreso dai tagli di Tremonti, incombe una manovra da 10 milioni di euro (più 30 a settembre!) e il più autorevole dirigente del Pd dice: “Dateci un nuovo premier, un governo e noi faremo la nostra parte”. Qui siamo oltre il tafazzismo. Qui siamo al furto di speranza. D’Alema ripete come un disco rotto l’unico schema politico che crede di essere in grado di applicare: il gioco di palazzo per il governissimo.
In tutta Europa i leader (moderati e non) si preparano a duellare. Da noi sognano di “patteggiare”. D’Alema e Bersani (che non a caso l’estate l’estate scorsa propose Tremonti premier) sembrano la copia della meravigliosa gag del doganiere di Non ci resta che piangere. Ricordate? Roberto Benigni e Massimo Troisi si avvicinavano al confine e lui, con gli occhi chiusi, gridava: “Chi siete? Quanti siete?”. E prima di ascoltare qualsiasi replica rispondeva: “Un Fiorino!”. Ecco, D’Alema é così. E dice: “Chi siete? Quanti siete?”. Poi, senza ascoltare risposte, conclude: “Governissimo”. Com’era bella la risposta di Troisi e Benigni. Prima educati: “Scusi…”. Poi preoccupati: “Ma noi…”. Infine incazzati: “E vavattenne affangulo”. Risposta appropriata, va detto, ma troppo brusca, se riferita al doganiere dell’inciucio máximo. A noi basterebbe non pagare questo dazio.
Il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2011