Il primo giugno l'esecutivo ha chiesto all'Avvocatura dello Stato di intervenire per "evidenziare l'inammissibilità della consultazione". Tra le motivazioni, il cambiamento della natura stessa dei quesiti "che non sono più abrogativi, ma propositivi, se non consultivi". Intanto sono state depositate ieri le motivazioni della Cassazione che evidenziano disaccordo tra i giudici
“La Corte Costituzionale il prossimo 7 giugno dovrebbe ritenere inammissibile la richiesta di referendum, come è stata formulata nella recente ordinanza della Corte di Cassazione, perché a quest’ultima spetta solo una verifica formale dei requisiti e non anche ulteriori valutazioni ‘sostanziali'”, chiede l’Avvocatura dello Stato nella memoria presentata alla Consulta. Con il varo del dl ‘Omnibus’, si sottolinea in particolare, il governo non ha fatto una modifica meramente “formale”, ma una “innegabile e sostanziale diversità di scelta” rispetto alle norme sul nucleare sulle quali era stato chiesto il referendum. Per questo, gli elettori, il 12 e 13 giugno, si troveranno a votare un quesito “del tutto difforme rispetto a quello in base al quale sono state raccolte le sottoscrizioni necessarie allo svolgimento del referendum”. Vi è dunque “ben di più rispetto a quelle modifiche formali o di dettaglio” su cui la Cassazione si sarebbe potuta esprimere.
Con la decisione della Cassazione, inoltre, secondo l’Avvocatura, è cambiata la natura stessa del referendum “che non è più abrogativa ma propositiva, se non consultiva”. “Poiché, non deriva dai commi 1 e 8 dell’art.5 la possibilità di realizzare centrali nucleari, né di dar corso ad una politica energetica fondata sul nucleare – è scritto nella memoria – ne consegue che ciò che si chiede all’elettorato è di esprimersi sull’opportunità che in futuro, sulla base di nuove scelte, l’Italia adotti una strategia energetica. Ciò però non è previsto dal nostro ordinamento costituzionale con la conseguenza che il quesito risultante dall’ordinanza del 1 giugno dell’Ufficio Centrale per il Referendum non può che ritenersi inammissibile”.
Insomma il governo vuole affossare questo referendum che, nonostante i proclami, ha un valore politico che van oltre i singoli quesiti. Lo rivela l’interesse con cui segue la vicenda il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani: “Ritengo che la Cassazione abbia riproposto un quesito referendario che non è stato sottoscritto da coloro che hanno chiesto di fare il referendum, quindi per dare un giudizio: aspetto la sentenza della Consulta”, ha detto ieri a margine di un incontro a Milano con il vicepresidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping.
La questione si fa ancora più complessa alla luce delle motivazioni dell’Ufficio per il referendum della Cassazione che sono state rese note ieri. Innanzitutto appare evidente la divisione tra i giudici visto che il relatore non ha scritto la sentenza. Inoltre, viene evidenziato, a maggioranza, che nelle nuove norme c’è una “manifesta contraddizione con le dichiarate abrogazioni” e si “dà luogo a una flessibile politica dell’energia che include e non esclude anche nei tempi più prossimi la produzione a mezzo di energia nucleare”. Per i giudici il famoso comma 1 dell’articolo 5 “apre nell’immediato al nucleare solo apparentemente cancellato”. Infine, non si può dimenticare che sulla Corte costituzionale pende la rinuncia formale alla presidenza di Paolo Maddalena, successore designato (per anzianità) dell’attuale presidente Ugo De Siervo. Al suo posto lunedì la Consulta eleggerà Alfonso Quaranta, giudice che piace al centrodestra, ma anche ex democristiano capace di dialogare con aree diverse. Ecco allora che la sentenza della Cassazione potrebbe prestare il fianco a qualche critica da parte dei giudici costituzionali, in un momento di grande fermento per la Consulta.