Gli esperti Angelo Baracca, Ernesto Burgio e Giorgio Ferrari hanno analizzato i dati pubblicati online dalla Tepco. Non è vero, dicono, che le misure antisismiche della centrale nucleare hanno retto: "Gravi danni già causati dal terremoto, prima che arrivasse lo tsunami. E il cesio 137 contaminerà la catena alimentare per molti anni"
Mentre un tornado minaccia Fukushima, sull’incidente avvenuto alla centrale atomica giapponese ci sono ancora molti punti da chiarire. Provano a farlo tre esperti italiani – il fisico Angelo Baracca, il pediatra Ernesto Burgio e l’esperto di combustibile nucleare Giorgio Ferrari – partendo dai dati sul disastro dell’11 marzo scorso, pubblicati on-line dalla compagnia elettrica Tepco, e dall’Agenzia nipponica per la sicurezza nucleare (Nisa).
La loro prima considerazione è che le informazioni diffuse sino a oggi sull’incidente sono incomplete. Le conseguenze sulla popolazione civile, poi, sono impossibili da valutare, pur essendo trascorsi quasi tre mesi. Come si può parlare allora di “allarme rientrato”?
Angelo Baracca è professore di Fisica all’università di Firenze: si sofferma sulle cause del disastro. “Si è detto e ripetuto che all’origine dell’incidente nucleare ci sarebbe stato un terremoto di inusuale grandezza (nono grado della scala Richter), del tutto eccezionale e imprevedibile. Falso. La scossa che ha colpito l’impianto è stata di settimo grado, circa 900 volte minore del nono, registrato all’epicentro, a circa 25 miglia dalla costa. Le misure dei 53 sismografi collocati all’interno della centrale di Fukushima, rese pubbliche il 16 maggio scorso dalla Tepco, dimostrano che l’intensità del sisma ha superato di poco i valori di riferimento, utilizzati per la costruzione dell’impianto”.
“Tra l’evento sismico – spiega ancora Baracca – che ha causato l’arresto dei reattori, e l’arrivo dello tsunami sono passati 50 minuti in cui si sono verificate alcune gravi anomalie nei reattori 1 e 2 , poi amplificate dall’effetto dell’onda che ha messo fuori servizio i diesel di emergenza. Questo significa che gli incidenti sono stati innescati direttamente dal terremoto e non solo dallo tsunami, come vorrebbero farci credere”.
Le aziende costruttrici delle centrali hanno sempre parlato di impianti anti-sismici. Esiste quindi una volontà di disinformare e di tener nascosta la verità? Ernesto Burgio è il presidente del Comitato scientifico di Isde (International society of doctors for the environment). Per quanto riguarda le conseguenze dell’incidente di Fukushima sulla popolazione, Burgio parte da Chernobyl. “Oggi come allora, le valutazioni sanitarie non possono che essere difformi da quelle rassicuranti diffuse in queste ore da molte organizzazioni internazionali. Negli anni ‘90 fu il fisico nucleare Vassili Nesterenko, già direttore dell’Istituto di Fisica nucleare dell’Accademia di Scienze in Bielorussia, a puntare il dito contro l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che a suo dire finanziava studi che nascondevano o trascuravano gli effetti a lungo termine dell’incidente di Chernobyl”. Che la macchina della disinformazione e della rassicurazione si sia messa in moto anche dopo Fukushima? Secondo Burgio è possibile. “Quello che numerosi ricercatori indipendenti, tra cui Nesterenko e Chris Busby, attuale coordinatore scientifico del Comitato europeo per i rischi da radiazioni (Ecrr), hanno cercato per anni di far accettare alla comunità scientifica internazionale, è che il vero pericolo, enormemente sottovalutato, concerne gli isotopi radioattivi (come il cesio 137) emessi dalle centrali nucleari in piccole quantità durante il normale funzionamento e in grandi quantità nel corso degli incidenti. Come è stato per Chernobyl, in Giappone il cesio radioattivo si accumulerà per decenni nelle catene alimentari e nei tessuti umani, rischiando di interferire con lo sviluppo cerebrale infantile, e di favorire l’insorgenza di leucemie (per Busby si rischiano 200 mila tumori)”.
Giorgio Ferrari è un ex dipendente dell’Enel. “Appena cinque ore dopo l’incidente – dice Ferrari – il nocciolo del reattore 1 è rimasto completamente senza acqua e si è fuso interamente, ma la Tepco lo ha ammesso solo il 15 maggio scorso, rivelando che il vessel (lo spesso contenitore di acciaio che contiene il combustibile) è stato perforato. Nei reattori 2 e 3, invece, il nocciolo si è parzialmente fuso e si sospetta il danneggiamento del vessel”. Anche per quanto riguarda la contaminazione del mare le notizie diffuse sono fuorvianti, secondo Ferrari. “La perdita dell’integrità del circuito primario dei reattori – spiega – fa sì che il 30% dell’acqua che si pompa nei noccioli fuoriesca dagli impianti e finisca in mare: è stato riscontrato un alto tasso di cesio 137 in mare a 300 chilometri di distanza a sud di Fukushima”.
Il dottor Burgio si domanda infine quando mai avremo il numero esatto dei morti di Fukushima. Forse mai. Come spiega assieme a Ferrari e Baracca in Scram (Jaca Book, 412 pagine, 34 euro), “il vero problema è dato proprio dalle piccole quantità di radioisotopi che escono dalle centrali e si concentrano nelle catene alimentari e in particolare nel latte di mucca e in quello materno. E che passano attraverso la placenta al feto interferendo col suo Dna. Incidenti come quello di Chernobyl e di Fukushima, immettono nella biosfera grandi quantità di radioisotopi che permangono nelle catene alimentari per decenni e, per quanto concerne il plutonio, per millenni. A essere esposti e contaminati non saranno dunque soltanto i bambini ucraini o giapponesi ma, col passare del tempo, tutti gli esseri umani e, più in generale, tutti gli esseri viventi”.