Il sessantenne (accidenti, se passa il tempo) cantautore romano ritorna al concerto “in solitaria” dopo un anno e mezzo di “work in progress” assieme a Lucio Dalla. Esperienza musicalmente interessante, sorta di revival del sempre verde tour Banana Republic (1978), che ha garantito presenze record ovunque.
De Gregori, con Battisti, Guccini, Vasco Rossi, lo stesso Dalla, è uno di quei cantanti del post ’68 di cui ogni italiano ha in testa almeno un motivo da cantare: Rimmel, Viva l’Italia, Niente da capire, La donna cannone, Generale, La leva calcistica della classe ’68, Caterina. La scelta è pressoché infinita. Ed è probabile che dal jukebox live di sabato 11, inserendo qualche monetina del cuore, possa uscire il proprio brano preferito.
Sul palco salirà la formazione che ha seguito l’autore de Il bandito e il campione dal 2008 in avanti: Guido Guglielminetti al basso; Alessandro Arianti alle tastiere; Alessandro Valle, Lucio Bardi e Paolo Giovenchi alle chitarre elettriche e acustiche, Stefano Parenti alla batteria.
Dai primi live con Antonello Venditti, fino al duetto con Dalla dei giorni nostri, il concerto di De Gregori rimane una tappa obbligata per il fan del nostro. Perché spesso il cantautore romano reinventa e riarrangia i brani dal vivo quasi fosse una necessità di sopravvivenza creativa il non doversi ripetere ogni volta.
Certo, non sono più i tempi delle contestazioni al Palalido (2 aprile ’76), con i membri dei collettivi ad interrompere il concerto per dargli dell’arricchito e del venduto al sistema. Allora come adesso De Gregori non ha mai scritto, per sua stessa ammissione, versi politici e mai parlato di politica sul palco. Eccezion fatta per il verso che conclude la memorabile Viva l’Italia: “viva l’Italia che resiste!”, diventata slogan da tshirt, o “stato” da Facebook, per i giovani di sinistra, i veri habitué che hanno sempre affollato i suoi concerti.
Oggi “il principe” si presenta sul palco bardato di giacche, cappelli e occhiali scuri, nascondendo una perduta giovinezza, celandosi dietro una maschera altera e laconica.
Il superbo poeta della musica italiana d’autore da almeno trent’anni, arriva da un ultimo album giocato sulle corde della nostalgia per le proprie storiche melodie. Datato 2008, Per brevità chiamato artista (riconosciuto dai fan più accaniti come brano mai inciso del 1974), è l’ultima traccia musicale che ricordiamo con piacere, tra echi alla Leonard Cohen e l’atipico blues di Finestre rotte.
Ma ancora, di nuovo, sappiamo che un altro concerto di De Gregori sarà sempre una piacevole, intrigante, matura sorpresa.