La crisi non guarda in faccia a nessuno e sta mettendo in ginocchio uno dei settori nevralgici della sanità. Sono le aziende che forniscono i dispositivi elettromedicali alle Asl e agli ospedali. Vale a dire i reagenti per gli esami di laboratorio, macchinari come la Tac e la risonanza magnetica, bisturi, strutture per le sale operatorie. Il governo taglia e le Regioni pagano le fatture a distanza di molti mesi. Il record spetta alla Calabria con 912 giorni di media nei ritardi, seguita dalla Campania con 765 e dal Lazio con 403 giorni. In soldoni, i crediti delle aziende ammontano a 5 miliardi e 350 milioni di euro. In crisi verticale soprattutto le piccole e medie imprese che per evitare la bancarotta “scontano” le fatture in banca e si accontentano di incassare subito il 3 per cento in meno del loro credito. Le multinazionali se la passano meglio, ma da qualche mese è iniziata la diaspora verso Paesi dove i tempi di pagamento sono certi. “In Germania le strutture sanitarie pagano entro 30 giorni, in Francia e Inghilterra il termine massimo è di cinquanta”, commenta Stefano Rimondi, vicepresidente di Assobiomedica-Confindustria, con la delega ai rapporti con le Regioni.
La situazione, già critica nel 2010, è peggiorata nei primi mesi di quest’anno. “La crisi è ormai verticale, basta leggere i numeri. Si sta poi diffondendo una dinamica atipica – prosegue Rimoldi – all’interno della stessa Regione i ritardi nei pagamenti si sono differenziati. Mentre, ad esempio, Reggio Emilia mantiene un trend quasi virtuoso a Modena la situazione precipita. Stesso discorso a Belluno e Treviso, dove i ritardi ci sono ma contenuti, a Verona e Venezia le fatture vengono pagate con ritardi insostenibili. Vorrei che i presidenti delle Regioni, che hanno il compito di decidere la politica sanitaria, intervengano e non se la cavino con la solita tiritera: pagheremo quando i soldi del Fondo sanitario nazionale arriveranno dal ministero del Tesoro. Non c’è molto tempo da perdere”. Perchè? “Se il nostro settore crolla, crolla la sanità pubblica e tutto il sistema va in frantumi – afferma Rimoldi – si rischia di tornare allo stetoscopio e all’esame olfattivo delle urine”. Ma il momento della verità si avvicina a grandi passi. Una direttiva europea stabilisce il 16 marzo del 2013 come termine ultimo per tutti i Paesi della Comunità per pagare le forniture entro 60 giorni dalla data della fattura. In caso di ritardo, verrà applicato un tasso di interesse dell’8 per cento da sommarsi con quello Euribor. E per i Paesi inadempienti pesantissime penali.
Un altro nodo centrale è quello della ricerca. In Italia tutti discettano, consigliano, invitano, ma nessuno fa nulla. “Se le nostre aziende venissero pagate entro 60 giorni, noi eviteremmo di regalare il 2.5 per cento di interessi sul fatturato alle banche – conclude Rimoldi – prendendo a base l’importo complessivo che è di 6 miliardi l’anno, noi potremmo disporre di 150 milioni di euro da investire nella ricerca. Ci basterebbe questo, non vogliamo soldi dallo Stato, possiamo fare da soli. Comunque non ci servono le promesse ma i fatti”. In attesa di un improbabile miracolo lo scenario resta critico: il Tesoro taglia i fondi alle Regioni, queste preferiscono dilazionare i pagamenti alle aziende fornitrici anche a costo di pagare centinaia di milioni di interessi.
E le imprese? Hanno due strade. La prima: affidarsi a uno studio legale, fare causa alla Asl, e aspettare che l’amministrazione pubblica tiri fuori i soldi. Ma questa scelta vuol dire che, nell’attesa, l’azienda è costretta a cercare finanziamenti per mandare avanti l’attività, ma questo vuol dire pagare gli interessi. Un circolo vizioso, diabolico e costoso. Quindi, molto spesso le imprese preferiscono scontare le fatture in banca. Facciamo un esempio: l’azienda ha fornito reagenti per un laboratorio di analisi per 100 euro. La banca diventa titolare del credito e anticipa 97 euro, poi se la vedrà lei, tanto prima o dopo incasserà il dovuto. Ma c’è anche un’altra strada. Quella della cessione del credito a una finanziaria. Ce ne sono alcune disposte a pagare per intero i 100 euro all’impresa, perché sanno che alla fine l’amministrazione pubblica pagherà 110. Basta avere pazienza.
Ma questa strada è irta di incognite e trabocchetti. Il mercato delle finanziarie negli ultimi anni si è gonfiato in modo sospetto. Si è creato un giro di fatture “cedute” per miliardi di euro. E non tutte le finanziarie, spuntate come funghi, hanno il dono della trasparenza. Il sospetto è che nel business siano entrate anche mafia, ‘ndrangheta e camorra.
di Mario Reggio
da Il Fatto Quotidiano del 5 giugno 2011