Gestione non autorizzata di rifiuti. E’ il reato che ipotizza la Procura di Modena per Giovanni Rocchi, responsabile di Enel Green Power per il bacino idrico dell’appennino modenese. Nel mirino c’è lo smaltimento di circa seimila metri cubi di fanghi su un terreno agricolo vicino alla diga di Riolunato, considerati rifiuti speciali e dunque sequestrati dal Corpo forestale dello Stato.

La controllata Enel, che sta realizzando lavori di adeguamento della barriera, risalente all’epoca prefascista e da un trentennio collegata alla centrale idroelettrica di Strettara (Lama Mocogno), replica ricordando “l’approvazione del progetto da parte della Regione”. E di aver pagato “il canone di estrazione per materia prima che è costituita esclusivamente da terre limose e argillose” non classificabili, ad avviso di Enel Green Power, come “rifiuto”.

L’indagine degli agenti forestali modenesi, condotta dal Pm Claudia Natalini, era scattata nei mesi scorsi a seguito di alcuni esposti di cittadini. L’esame della documentazione relativa al progetto è complicato dal consueto trasferimento di deleghe: dal Ministero dell’Ambiente alla Regione, infine al servizio tecnico dei bacini (ex Genio civile) che però cura gli aspetti idraulici, non le questioni paesaggistiche e ambientali.

Secondo gli inquirenti i lavori di Enel Green Power potevano essere effettuati senza il nullaosta della Commissione di Via mentre era necessaria l’autorizzazione per l’asporto e lo smaltimento dei rifiuti. Da qui il sequestro dell’area agricola dove sono stati versati i circa seimila metri cubi di  fanghi e la denuncia di Giovanni Rocchi per un reato contravvenzionale (gestione non autorizzata di rifiuti) punito con l’arresto da 6 mesi a tre anni.

Il colosso energetico, così facendo, ha anche risparmiato sui costi del trasporto e dello stoccaggio nella discarica autorizzata che si trova a Zocca, dalla parte opposta della vallata. Ma il problema ambientale è più esteso rispetto all’indagine penale.

Durante i lavori, a causa dell’ intasamento della paratoia della diga di Riolunato, i tecnici hanno scaricato ingenti quantità di terriccio nel torrente Scoltenna, affluente del Panaro che poi conduce ai canali di irrigazione.

Gli effetti? Morìa di pesci e danni all’agricoltura ancora da quantificare, problemi per la fornitura d’acqua nel periodo estivo. I contadini, le associazioni ambientaliste, l’ufficio ‘Caccia e pesca’ della Provincia e i Comuni montani interessati hanno annunciato richieste di risarcimento in sede di giustizia civile.

Le polemiche sono di oggi ma le cause hanno radici storiche, quando Enel ancora non era votata alle fonti rinnovabili. Le ultime operazioni di manutenzione della diga di Riolunato, eretta durante la prima guerra mondiale, risalgono alla fine degli anni Settanta. “I lavori di ristrutturazione sono necessari ma decisamente tardivi – attacca Sabina Piccinini di Legambiente Emilia Romagna – non ci vuole un esperto geologo per scoprire che se non effettui adeguata pulizia per tanti anni poi ti ritrovi pieno di limo: è naturale che al momento dei lavori dalla diga possa uscire di tutto. Secondo i pescatori sono compromessi chilometri di fauna ittica e vegetazione”.

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