Il vento del Nord soffia pure sulla cultura? Il potere editoriale, i così detti "salotti letterari" e le iniziative culturali nella vecchia opposizione fra Roma e Milano
La società letteraria milanese s’è parcellizzata, diradata. Anche se da qualche tempo si percepiscono fermenti diversi. E l’insofferenza per la monocultura mercantile, il tipo antropologico “suvnormale”, è esplosa nell’elezione di Giuliano Pisapia… Ma basterà per cambiare musica? E’ un vento nuovo, un desiderio di partecipazione civica che investe anche la cultura o un folata passeggera?
“Il risveglio dell’editoria romana è caratterizzato da centri di discussione collettiva – dice Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza –; a Roma gli editori, minimufax, Fazi, e/o e altri, s’incontrano, discutono. Qui no. Ci s’incontra più facilmente a Torino, Francoforte. E’ come se la città avesse smarrito il senso della comunità. Però colgo i primi segni in direzione opposta, una richiesta di partecipazione… Per esempio tutta la rete dei traduttori di Neri Pozza s’è mobilitata per Pisapia. Non era assolutamente prevedibile”.
Speranze a parte, Russo non vede tutto buio: ci sono realtà industriali come Mondadori e Rizzoli con dentro editor come Antonio Franchini ed Elisabetta Sgarbi (Bompiani) che anima la Milanesiana, unica manifestazione letteraria della città. Ci sono scrittori come Antonio Scurati, Giuseppe Genna, che rappresentano “esperienze letterarie di prim’ordine”. E poi: i piccoli editori romani sapranno fare il necessario salto di qualità strutturale? “Fandango segna un po’ il passo”, dice Russo.
Pur riconoscendo che siamo in un momento di passaggio, Massimo Coppola, direttore editoriale e socio di Isbn, va giù duro: “Milano è una città di cui vergognarsi. Perché non sono rappresentate le istanze sociali e culturali. Non c’è un progetto. Nulla. Da decenni siamo ostaggi dei bottegai”. La Ville Salumière su cui ironizzava Cuore? Isbn è una casa editrice giovane, apre la redazione al pubblico… Il 16 giugno darà un Bollywood party in onore di Mama Tandoori. Musica, alcol e gente che declamerà le proprie figure di merda causate dalla madre, leitmotiv del romanzo di Ernest van der Kwast: “Se lo facessimo a Roma ci sarebbero le folle. Qui sotto di noi c’è un fossato. I negozi di questa via sono tutti chiusi. Perché a Roma è diverso? C’è interazione con le istituzioni. Più occasioni di scambio”. Isbn si considera in controtendenza rispetto a una città chiusa e “alla grande editoria che ormai è solo alta finanza”, ma andare controcorrente è “faticoso”. Coppola ha una redazione giovane, con la crisi non ha tagliato posti (“Ci siamo autoridotti lo stipendio”), e ha appena conseguito a Vilnius un premio internazionale per le migliori copertine. Al nuovo sindaco, come al vecchio, chiede qualcosa che dovrebbe essere scontato: che vengano, per esempio, concessi alle imprese giovani e creative spazi in una delle tante strutture non utilizzate della città. Coppola, che viene da Mtv, spera in Pisapia ma continuerà a esercitare un controllo sull’attività del sindaco.
“Milano non è solo la capitale dell’editoria – dice Stefano Mauri, presidente del gruppo Gems che raccoglie diverse sigle, da Longanesi a Garzanti passando per Guanda – è il quartiere generale di tutte le catene librarie e della distribuzione. Qui ha sede l’Associazione italiana editori (Aie), una delle più antiche associazioni di categoria italiane. Stride allora che nessuna manifestazione dedicata ai libri esca dall’ambito parrocchiale. Internet ha affrancato dalla schiavitù della residenza. Potendo scegliere gli scrittori preferiscono città meno distratte come Torino, Roma, vicina al cinema e scenografica, o Napoli, trincea sociale del nuovo millennio. Milano va bene per lavorare. Per immaginare, altri luoghi offrono di più”.
Elisabetta Sgarbi la vede diversamente: i piccoli editori romani sanno fare rete ma la rete, dice, “imbriglia”: “Ci sono editori che incontro per consuetudine a Milano, altri che non conosco e che, per il mio lavoro, non è necessario che veda continuamente. In ogni caso, oltre a Francoforte, vedo tutti alla Milanesiana”. Poi dice che “Molti autori sono a Milano. E anche molti agenti letterari, importanti nelle dinamiche editoriali. A Roma c’è, per tradizione, una maggioranza cospicua di scrittori. Indagarne le ragioni è troppo complesso. Posso dire che gli scrittori ‘milanesi’ non soffrono di solitudine”. La Sgarbi non crede che la città sia scomparsa dai romanzi, altro aspetto della “questione milanese”: “Andrea De Carlo ne parla spesso. E per arrivare alle nuove generazioni, Vincenzo Latronico. Comunque, nella dissoluzione, la Letteratura fiorisce”.
La pensa come lei Antonio Franchini, editor per Mondadori di libri come Gomorra: “Io che leggo molto di quello che poi non si pubblica posso dire che di romanzi ambientati a Milano se ne scrivono ancora parecchi. Certo, dal punto di vista del fascino e delle suggestioni la città ha perso molto della sua aura. Ma come le famiglie di Tolstoj, le città che producono più e migliore letteratura sono le città infelici”. Certo, ammette, “l’humus romano è più fecondo. Ma la scrittura è un mestiere solitario e non si diventa grandi scrittori perché si va a più feste, a più presentazioni, premiazioni o riunioni di sceneggiatura”.
E le redazioni? Come afferma Giuseppe Russo, le redazioni non sono più un luogo di incontro, come ai tempi di Vittorini, Pavese, Calvino, in particolare nelle grandi realtà industriali di Milano. Ma sia la Sgarbi che Franchini rifiutano l’assunto secondo cui oggi gli editor abbiano ridotto i rapporti con gli scrittori a una fitta corrispondenza elettronica: “Certo – dice la Sgarbi -, non è semplice: il lavoro editoriale si è moltiplicato in infiniti rivoli, esigenze, realtà che tolgono il fiato, a volte. A dire la verità, non socializzo molto, non frequento salotti, come sa chi mi conosce, ma passo molto tempo della mia giornata al telefono. Con gli autori, per lo più. E se non con loro, per loro”.
Per Franchini, dire “che i rapporti tra editori e scrittori siano diventati impersonali è una sciocchezza che si continua a ripetere. Che il passato sia sempre un eden rispetto al presente è forse la prima delle idee preconcette dell’umanità. Io se non ‘socializzassi’ con gli scrittori farei un altro lavoro. Con gli altri editor è diverso, sono concorrenti: anche se devo ammettere che questa affermazione un po’ secca deriva dalla mia età; quando ero più giovane condividevo molto di più con gli editor delle altre case editrici. Il lavoro dell’editor in una casa editrice piccola o grande non è diverso nella sua essenza”.
Per il critico romano Emanuele Trevi, lo scrittore milanese passa i pomeriggi a scrivere sul blog: “Non è una vera socialità. Pomeriggi passati in solitudine. Sono ridicoli, ma non è meglio uscire, parlare, vedersi? o avere il coraggio di stare da soli? L’esempio più tragico è Nazione Indiana, un blog che adoro per altri aspetti, ma non per tutto quello che è il commento, il commento sul blog è un’esperienza collettiva brutta, un inferno. Come diceva Flannery O’Connor, il rischio di vivere in un mondo che Dio non ha creato. Esprime solo reattività emotiva, le idee hanno bisogno di tempo per maturare”.
Alessandro Bertante, in corsa per lo Strega con Nina dei lupi (Marsilio), dissente decisamente: “Non è vero che non socializziamo. Io esco tutti i giorni. Vedo spesso Scurati, Genna. Con Scurati facciamo la manifestazione Officina Italia (dove si leggono inediti, romanzi in fase di preparazione), quest’anno l’abbiamo rimandata a ottobre ma ci saremo, soprattutto ora che abbiamo vinto le elezioni. Ci sono stati problemi con i finanziamenti. Il discorso di Trevi è una fesseria. Non è vero che i blog sono un fenomeno milanese! Che qui stiamo tutto il tempo attaccati ai blog. Lui poi in quella dimensione romana sguazza. A Roma li conosco tutti ma non ci tengo a partecipare alle feste in terrazza, alle incularelle, come le chiamano lì, le mafiette. Che cosa producono? Chi vende, come Ammaniti, per esempio, non fa parte dei giri delle terrazze. Chi ne fa parte quanto vende? Quanto vende Trevi? 800 copie?” Bertante poi avverte: lì hanno ancora Alemanno, qui Pisapia… Il vento gira, cambia direzione. Certo, concede, a Roma ci sono piccole e medie realtà editoriali recenti o nuove, molto dinamiche e interessanti, in particolare minimumfax e Nottetempo, che fanno ancora un lavoro di ricerca.
Per Camilla Baresani, scrittrice attenta ai costumi, anche culturali (vedi Un’estate fa, dove racconta molti party artistici), è il tipo di lavoro a rendere più comunitaria la vita degli scrittori a Roma: c’è la Rai, con le fiction, il cinema, Radio Tre che è un po’ la radio degli scrittori… “Un tipo di lavoro più collettivo – dice la Baresani -, più di gruppo, qui a Milano tutto questo non esiste, se devi curare un Meridiano ti chiudi in biblioteca e amen. Poi la città non offre luoghi di aggregazione. A Roma nelle redazioni incontri sempre gente, se passi a Fahrenheit, per dire, incontri sempre qualcuno…”.
Secondo Mario Villalta, scrittore e ideatore di Pordenone Legge, “Non esiste più il ‘tessuto’, la rete di relazioni che ha caratterizzato la cultura milanese fino agli anni ’90 e attirava, costringeva a relazionarsi con Milano. Oggi rimangono le grandi case editrici, due delle quali stanno in tangenziale. Per arrivarci non devi neanche entrare in città! Gli scrittori, i poeti, andavano a vivere a Milano. In questi ultimi dieci anni se ne vanno. C’è stata anche una politica che ha preferito fare il deserto pur di non lasciare la cultura in mano agli avversari: e così l’ha cacciata via e regalata alla capitale. Neanche nelle canzoni Milano c’è più”. Vista da Pordenone, dove Villalta vive, la città lombarda ha perso la sua forza di attrazione, prima i giovani pensavano di trasferirsi a Milano, oggi non la nominano neanche più, pensano a Berlino o Barcellona.
Per Stefano Mauri di Gems, gli editori romani vivono a contatto con i media locali (tivù, qualche grande giornale), il cinema e la politica e “ogni foglia che si muove là ha una risonanza doppia”. Poi c’è un problema milanese: la cultura è annichilita, nella capitale degli affari, dal peso dei soldi e la politica è distratta, la destra ha un’idea conservatrice e poco democratica di cultura. Un episodio: “Abbiamo cercato un incontro con l’Associazione italiana editori – racconta Mauri – e abbiamo ottenuto un appuntamento, disdetto da loro la sera prima e mai più rimesso in calendario. Il libro riscuote enorme attenzione dalla politica negli altri paesi. Un giorno a Parigi ha voluto incontrarmi un ministro della cultura. Quando mai in Italia?! Per questo quando Pisapia ha annunciato la sua candidatura al teatro Litta, sono salito sul palco per ricordare la Milano capitale del libro e ho precisato che non ero lì per militare ma perché ho capito che i sindaci è bene prenderli da piccoli. Ora spero che il Pd non abbia usato la società civile solo per vincere le elezioni e poi metterla da parte come in passato. I segni positivi per un piccolo risorgimento culturale non mancano”.
La scarsa sensibilità culturale della destra ha creato un solco. Ora molti rialzano la testa, provano a respirare. Torna il tormentone di fare la fiera del libro come a Torino: per Mauri, non serve a niente, meglio una bella manifestazione letteraria; per la Sgarbi, non ha senso a meno che non si facciano le cose davvero in grande. Russo ipotizza una partnership con Torino magari sugli aspetti come gli incontri tra editori e agenti letterari internazionali. Villalta sostiene che se non si coinvolgono dal basso gli operatori promuovendo le novità emergenti anche una grande manifestazione diventa “la vetrina dei soliti noti, a Milano o Domodossola non cambia”.