Se si riuscisse a raggiungere il quorum nei referendum del 12 e 13 giugno si potrebbe dare un’altra bella batosta alla nostra classe dirigente: tutta, inclusa quella sinistra che non ha fatto nulla, fino ad ora, per promuoverli, spalancando invece le porte “alle privatizzazioni dell’acqua e lottizzato società di servizi in mezza Italia, pensiamo alle varie Hera (Emilia-Romagna) e Iren (Torino-Genova-Emilia occidentale)”, come ricorda Beppe Grillo sul suo blog.

Tralasciando l’importanza di una vittoria dei Sì, già ampiamente dibattuta anche sulle pagine di questo giornale, è importante che si vada a votare per far capire bene ai cialtroni che pensano di poter decidere tutto per noi che non siamo un popolo né di pecore, né di bambini idioti, che preferiscono “andare al mare” piuttosto che interessarsi alle proprie sorti ed al proprio futuro (e poi al mare, sperando che ci sia bel tempo, ci si può benissimo andare anche dopo che ci si è recati a votare).

Aver fatto di tutto per non accorpare referendum ed elezioni amministrative è stato uno scherzetto che, in un periodo di crisi economica come quello attuale, ci è già costato circa 350 milioni di euro. Questo fatto, senza considerare le dichiarazioni di Berlusconi di qualche tempo fa, che con la sua solita sfacciataggine ha ammesso di volere solo rinviare la partita, dovrebbe bastare per far venire al popolo italiano un desiderio di votare tale da farlo anche se, per assurdo, fosse possibile accedere alle urne solo nella notte di domenica.

Quella del 12 e 13 giugno è un’opportunità di far capire forte e chiaro a lor signori che la sovranità è e rimane nostra. È triste ammetterlo, ma portare il Sì a vincere questo referendum è, ormai, soprattutto una questione di principio. Che ci porti a dare un (altro) ceffone alla classe politica più arrogante ed incompetente che si sia mai vista in questo Paese. E che deve capire, appunto, che non sono loro a comandare, nonostante la loro spocchia e i loro privilegi.

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