Il "Se non ora quando?" in versione elvetica andrà in scena il 14 giugno. "I posti di lavoro malpagati e le condizioni più svantaggiose riguardano soprattutto il genere femminile", spiegano le sindacaliste di Unia che hanno organizzato la manifestazione. Le rivendicazioni riguardano anche la gestione della famiglia e il contrasto della violenza
Le donne svizzere scendono in piazza per rivendicare il diritto alla parità salariale rispetto agli uomini. Per questo, il 14 giugno il sindacato Unia (sindacato svizzero del settore terziario privato di ispirazione socialdemocratica nato nel 2004 a Basilea, ndr) ha organizzato una grande manifestazione chiamando a raccolta le lavoratrici di tutta la Confederazione. Obiettivo: ottenere la parità di trattamento economico rispetto agli uomini all’interno del mondo del lavoro.
Le donne svizzere si erano già mobilitate lo scorso 13 febbraio, contemporaneamente alle donne italiane scese in 250 piazze del Paese al grido di “Se non ora quando?” per protestare contro la distruzione della dignità femminile emersa dagli scandali sessuali che hanno coinvolto il premier italiano Silvio Berlusconi. Una dignità offesa dal contenuto delle intercettazioni sull’ormai celebre “bunga bunga”, termine coniato per il “caso Ruby”, la minorenne marocchina ospite delle feste a sfondo erotico nella residenza di Arcore di Berlusconi.
I presupposti della protesta svizzera del 14 giugno sono anche di natura storica. La Svizzera, non solo è l’ultimo tra i paesi europei ad aver riconosciuto – nel 1971 – il suffragio universale femminile, ma anche uno dei paesi in cui il principio dell’uguaglianza salariale è stato sancito solo dal 1981. “Nell’arco degli ultimi anni abbiamo ottenuto alcuni miglioramenti – spiegano Roberta Bonato e Francesca Scalise, sindacaliste di Unia e organizzatrici della manifestazione in Canton Ticino – ma resta ancora tanto da fare”.
Al grido di “Finiamola con la finta parità!” spiegano che il problema della diseguaglianza di trattamento economico tra uomini e donne è più che mai attuale: “Sono trascorsi 30 anni dall’iscrizione dell’articolo sulla parità nella Costituzione federale, 20 dal primo sciopero nazionale delle donne e 15 dall’entrata in vigore della legge sulla parità dei sessi, ma 280mila donne continuano a guadagnare meno di 4000 franchi al mese (circa 3250 euro, ndr) pur lavorando a tempo pieno – spiega Roberta Bonato – I posti di lavoro malpagati e le cattive condizioni sociali sono molto più frequenti tra le donne che tra gli uomini. In Svizzera le donne guadagnano in media il 20% in meno degli uomini”.
Stando ai dati diffusi dal sindacato, in Svizzera ogni donna dovrebbe guadagnare in media 14mila franchi in più l’anno (11400 euro, ndr) per raggiungere la parità con gli uomini: “In termini assoluti una donna in Ticino deve lavorare 15 mesi per ottenere lo stesso stipendio annuo di un uomo, una disparità che si appesantisce maggiormente nelle fasce salariali più basse – prosegue la sindacalista – Negli ultimi 40 anni il divario tra i salari femminili e maschili si è ridotto con grandissima lentezza: con questo ritmo ci vorrà ancora un secolo prima di riuscire ad affermare la parità salariale”.
Oltre che per la parità dei salari, si manifesterà anche per chiedere un reddito minimo legale, asili nido e strutture di accoglienza per i figli in modo da poter conciliare famiglia e lavoro attraverso congedi parentali e di paternità che agevolino la partecipazione maschile nella cura della famiglia.
Nell’elenco delle rivendicazioni non mancano anche argomenti che esulano dall’ambito ristretto del mondo del lavoro, come la lotta contro ogni forma di violenza e molestia sessuale e a favore della soppressione di ogni forma di sessismo. Le donne svizzere chiedono anche una maggiore rappresentazione nelle istituzioni politiche, anche se almeno su questo piano, il Paese è più progredito rispetto all’Italia: il presidente della Confederazione, dal dicembre 2006, è infatti una donna, la socialista Micheline Calmy-Rey.