“Siamo alla porta coi sassi“, ripetevano spesso e volentieri le madri quando ci attardavamo a fare qualsiasi cosa dovessimo fare. Una sorta di “ora o mai più” dove incombeva la parola per quelle pietre raccattate e soppesate per fare ben altro. Sassi che noi ragazzi trasformavamo in proiettili per bersagli raggiunti dalla mira allenata, che ti accompagnava nello sconfiggere la noia, colpendo con la nostra crudeltà povere lucertole o i bicchierini rovesciati dei vecchi pali della luce. Ogni qualvolta raccattavamo un sasso eravamo memori delle prime guerre di bande di quartiere che, a colpi di sassaiole, sancivano la fine di ogni relazione .
Non più il “celo-manco” dei giovanili album di figurine, a cui al massimo seguivano scaramucce con lanci di manciate di ghiaino, ma sassi veri che, se colpivano, facevano danni veri. Quasi mai, per fortuna, sulle nostre teste, svirgolanti com’eravamo per quell’argento vivo che ci veniva attribuito dagli anziani come finto rimbrotto che nascondeva affettuose invidie nel misurare quotidianamente le lentezze della loro età.
Sassi che finivano, nel non colpirci, sulle finestre altrui o alle volte sui cofani delle prime macchine dei nostri genitori. Lì sì che rischiavamo, come il povero Luciano sorpreso da suo padre a far danno: si sfilò, rincorrendolo e raggiungendolo, la cinghia dei pantaloni facendola saettare improvvisa sulle cosce del figlio, arrossandole di dolore e vergogna per diversi giorni.
Sassi che si trasformavano, nella campagna sempre vicino al mare dell’Isola d’Elba, nelle secche merde dei tanti ciuchi. Lontani com’eravamo, in altra epoca, da qualsiasi idea di bande di quartiere, dove la divisione era al massimo fra i più grandi e i più piccoli, che ancora non si emozionavano nel guardare le amiche che ci crescevano d’intorno, trasformandosi sempre di più – ad ogni passaggio di stagione – in donne che ci lasciavano soli nella più divertente e scanzonata guerra estiva. Merde seccate esternamente dal sole che ci permettevano così la facile e non schizzinosa presa per lanci che, nei fuochi incrociati del tutti contro tutti, ci trasformavano, da lì a poco, in puzzolentissimi bersagli. La secca crosta all’impatto si rompeva svelando alle volte un cuore morbido e assolutamente lordante che ci costringeva ad infinite risate e a successive corse per tuffarsi dai pontili, che diventavano traballanti trampolini della più grande e bella piscina del mondo.
È sì, siamo alla porta coi sassi, nell’accezione fiorentina e non livornese.
Quindi tutti a votare per il referendum del 12 e 13 giugno.