Dopo settimane di attesa e consultazioni, il governo tunisino, i partiti e la società civile hanno raggiunto un accordo sulla data dell’elezione dell’Assemblea costituente che dovrà aprire un nuovo corso democratico per il Paese. I tunisini andranno a votare il 23 ottobre, e non più il 24 luglio come previsto.
A riaprire una decina di giorni fa ufficialmente i giochi sul giorno del voto, creando non poche polemiche nella società civile con buona parte dei partiti di opposizione all’ex regime di Ben Alì contrari a uno slittamento, era stato l’annuncio dell’Alta Istanza guidata da Kamel Jendoubi. Il presidente dell’organismo incaricato di organizzare le consultazioni, aveva giudicato di fatto impossibile andare a votare il 24 luglio, proponendo in alternativa la data 16 ottobre. Troppo poco tempo, aveva spiegato Jendoubi, per stilare la lista degli elettori, validare le migliaia di candidature dei circa 80 partiti presenti, preparare gli scrutatori, fornire a tutti i votanti la carta d’identità, depennare dagli elenchi anagrafici ben tre milioni di persone che risulterebbero decedute da tempo. Due mesi in più, insomma, necessari per assicurare un voto effettivamente democratico e regolare.
Alla fine la sua linea, oggi giudicata da tanti pragmatica, ha prevalso. E contro i pronostici della vigilia, all’incontro di oggi tra il premier ad interim Beji Caid Essebsi e i rappresentanti di partiti e società civile, le forze protagoniste della rivoluzione del Gelsomino hanno dato il proprio nullaosta. “Abbiamo valutato tutti i punti di vista – ha dichiarato il premier – E abbiamo deciso di tenere le elezioni il 23 ottobre”.
Eppure la strada della Tunisia verso la piena transizione istituzionale appare ancora accidentata. Nei giorni scorsi era circolata l’ipotesi di modificare il profilo della consultazione e chiamare i tunisini a eleggere il prima possibile il nuovo presidente della Repubblica. Un modo per assicurarsi, nel più breve tempo possibile, almeno un’istituzione eletta dal popolo e non nominata d’urgenza all’indomani della resa di Ben Alì. La decisione di oggi, però, allunga inevitabilmente la permanenza di Essebsi come premier e di Foued Mebazaa come capo di Stato di almeno un anno. E c’è già chi vede in questo elemento un potenziale motivo di tensione in seno alle forze di opposizione.
Certo è che la piazza tunisina appare ancora molto inquieta e pronta a farsi sentire se le risposte dal Palazzo non saranno all’altezza delle aspettative: sit-in e manifestazioni, infatti, proseguono quasi senza sosta nel Paese e non è un caso se il premier Essebsi, nell’incontro di oggi, ha chiesto a partiti, sindacati e associazioni una tregua sul fronte delle proteste. A pesare sulla stabilità tunisina, inoltre, restano almeno due elementi che potrebbero giocare un ruolo importante nelle prossime settimane. Da una parte le notizie sul versante economico confermate dalle stime della Banca Mondiale: solo l’1,5% di previsione della crescita per il 2011, una produzione industriale in difficoltà con meno 15% dall’inizio dell’anno e soprattutto il crollo del turismo che perde 45 punti percentuali.
Dall’altra, la recrudescenza delle violenze tribali nella città di Metlaoui, nel governatorato meridionale di Gafsa, represse con il pugno di ferro da Ben Alì e oggi fuori controllo. Molti gli appelli alla calma da parte dei partiti di opposizione tunisini impegnati nel tentativo di abbassare la tensione dopo i violentissimi scontri dei giorni scorsi in cui sono morte 12 persone, altre 150 sono state ferite e almeno una novantina arrestate. Tra i fermati, anche alcuni ex esponenti dell’Rcd, il partito di Ben Alì, e uomini d’affari della regione accusati di avere alimentato la tensione. Un punto su cui l’opposizione ha chiesto al governo di fare chiarezza per riportare la calma nella città, tuttora sotto coprifuoco e presidiata da esercito e polizia.
di Tiziana Guerrisi / Lettera 22