Innocenti fino a prova contraria. Ieri sera tremila tifosi bergamaschi, in gran parte ultras della Curva Nord, hanno sfilato per gridare all’Italia intera “Giù le mani dall’Atalanta”. Nessuna supplica di immunità, nessuna ipotesi di complotto, ma solo una richiesta stampata a caratteri cubitali su uno striscione di dieci metri: “I processi si fanno nei tribunali, basta fango in tv e sui giornali”. Ma proprio mentre la pacifica marcia nerazzurra andava esaurendosi, da Cremona è rimbalzata un’altra brutta notizia, forse la peggiore di tutte. Tal Giancarlo Tuccella, portiere di calcio a cinque, avrebbe confermato davanti al gip di essere al corrente di una presunta combine tra Padova e Atalanta per concludere l’incontro sull’1-1. Glielo disse l’odontoiatra Pirani, uno dei personaggi chiave dell’inchiesta sul calcioscommesse.
“Si può bombardà?” chiede il primo, ansioso di scommettere. “Vai tranquillo…c’ho le conferme dirette…è un discorso tra società” risponde il secondo. La telefonata viene intercettata il 25 marzo 2011, il giorno prima di Padova-Atalanta. Nell’ordinanza, il gip Salvini scrive che “Tuccella riferiva d’aver parlato con un grande amico di uno dei due capitani che gli aveva confermato l’avvenuta combine”. Uno scenario preoccupante, perché tira in ballo la responsabilità diretta dei club (ovviamente tutta da provare), con potenziali conseguenze pesantissime per l’Atalanta e per il Padova.
Gli ultras nerazzurri, ancora all’oscuro degli ultimi sviluppi negativi, hanno attraversato Bergamo per chiedere rispetto. Un corteo garantista, il cui spirito si è condensato nello slogan “Né colpevoli né innocenti, ma fuori le prove evidenti”. Di fronte a queste, ha detto il capo tifoso Claudio “Bòcia” Galimberti davanti alla folla, la gente di Bergamo non avrà niente da obiettare. “Accetteremo qualsiasi decisione della giustizia sportiva, ma non vogliamo essere presi in giro”. L’importante è non passare per fessi. I tifosi nerazzurri chiedono solo la verità, senza giudizi sommari. E di fronte all’evidenza dei fatti, il vento potrebbe cambiare. “La vera maglia dell’Atalanta ce l’abbiamo addosso solo noi…” avvisa il Bòcia. Come dire che i giocatori passano e i tifosi restano.
Nel frattempo si sta tutti dalla parte del club e di Cristiano Doni, monumento nerazzurro. Il capitano ieri sera ha chiamato in diretta per ringraziare, la gente ha ricambiato invocando il suo nome. Nessuno butterà giù l’idolo dal piedistallo senza avere la certezza di essere stato tradito. “Non si può voltare le spalle al più grande campione atalantino di sempre, è da vigliacchi – ha tuonato il leghista Daniele Belotti, assessore regionale al Territorio cresciuto in curva – Se ci saranno elementi nuovi li valuteremo, ma per ora ci sono solo accuse ridicole”.
La fede atalantina è bipartisan. Matteo Rossi, consigliere provinciale del Pd, crocifisso dai suoi per avere manifestato solidarietà all’Atalanta, ha sottolineato: “Non c’è miglior alleato della giustizia di un movimento popolare che chiede l’accertamento della verità. Nei media è passata un’immagine negativa di Bergamo, vogliamo dimostrare che l’Atalanta è un simbolo che unisce questa città”.
Molti politici hanno invece sentito il bisogno di dire che non si sarebbero presentati alla marcia, beccandosi il “Chi se ne frega?” del segretario generale regionale della Cisl, Gigi Petteni, che una volta per un’intervista si fece immortalare con la maglia nerazzurra sotto la giacca. “Troppo facile correre a farsi fotografare con Doni dopo la promozione: adesso dove sono finiti tutti questi politici?”. I tifosi hanno applaudito lo strano comizio tenutosi in piazza Matteotti, lo stesso posto dove il 21 maggio scorso si festeggiava la promozione. Sono passati solo venti giorni, ma sembra una vita fa. A celebrare l’Atalanta quella sera c’erano 40 mila persone, ieri a difenderla erano solo in tremila.