In alternativa alla catastrofe del «processo breve», la maggioranza (d’accordo anche Fini) e l’Udc propongono un percorso che salvi soltanto Berlusconi e consenta di processare tutti gli altri. Un percorso in due tappe. La prima è una legge-ponte sul «legittimo impedimento » automatico, che consenta di bloccare i processi al premier per un anno-un anno e mezzo, per dar tempo al Parlamento di arrivare alla seconda, cioè alla soluzione finale con legge costituzionale: il superlodo Alfano per le quattro cariche dello Stato oppure il ritorno all’autorizzazione a procedere (ovviamente retroattiva per fulminare anche i processi già iniziati). Prima tappa: anziché inventarsi ogni volta un cervellotico «impedimento istituzionale» per far rinviare le udienze dei suoi processi, il Cavaliere avrà a disposizione, tutta per sé, una legge che gli farà risparmiare un po’ di fantasia e di faccia tosta. Il suo impedimento sarà, per legge, sempre legittimo, senza nemmeno il bisogno di motivarlo. Ancora una volta lo slogan pubblicitario riesce a mascherare una realtà del tutto opposta. I legittimi impedimenti sono già oggi previsti dall’articolo 420-ter del Codice di procedura penale:
Impedimento a comparire dell’imputato o del difensore.
Quando l’imputato, anche se detenuto, non si presenta all’udienza e risulta che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza, anche d’ufficio, rinvia ad una nuova udienza e dispone che sia rinnovato l’avviso all’imputato, a norma dell’articolo 419, comma 1.
Dunque l’imputato sostiene di non poter comparire in tribunale per cause di forza maggiore e il giudice decide se l’impedimento è autentico e, soprattutto, se è «assoluto». Ma Berlusconi l’impedimento lo vuole illegittimo. E l’Udc del presunto oppositore Casini, nell’ottica della «riduzione del danno» creato dal processo breve, s’incarica di presentare una «norma transitoria e temporanea» in tal senso firmata da Michele Vietti: l’impedimento del presidente del Consiglio è sempre legittimo. Anzi, di più: chi è presidente del Consiglio non può mai comparire in tribunale per un anno e mezzo, in attesa che venga messo al riparo da un lodo Alfano costituzionale. Dice infatti il ddl Vietti:
Nelle more della definitiva approvazione e promulgazione della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e delle modalità di partecipazione dello stesso ai processi penali e, comunque, non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvi i casi previsti dall’articolo 96 della Costituzione, al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei ministri il sereno svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla Costituzione e dalla legge, costituisce suo legittimo impedimento, ai sensi dell’articolo 420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali quale imputato, parte offesa o testimone il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste […].
«Voteremo la legge – avverte Casini – solo se vale per Berlusconi e basta. Dev’essere chiaro che la legge è fatta per lui e solo per lui. E la sosterremo soltanto se sarà ritirato il processo breve». Insomma la legge è buona solo se è ad personam. Se è erga omnes, invece, non se ne parla. Ma, si sa, l’appetito vien mangiando. E così al «lodo Vietti » ne subentra uno più ingordo e sfacciato, firmato dal deputato del Pdl Enrico Costa e da Matteo Brigandì, responsabile per la giustizia della Lega Nord: sei mesi di legittimo impedimento automatico (rinnovabili di semestre in semestre, ça va sans dire) per il premier, i membri del governo (ministri, viceministri e sottosegretari) e i parlamentari. Anche Enrico La Loggia del Pdl presenta la sua leggina, che estende il legittimo impedimento «a prescindere», oltreché ai membri del governo e del Parlamento, anche al capo dello Stato:
È legittimo impedimento a comparire nelle udienze ogni atto proprio delle funzioni attribuite al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei ministri e agli altri membri del Governo, ai membri del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati per il tempo preparatorio, contestuale e successivo necessario al compimento del medesimo atto; il giudice, tempestivamente avvisato, ne prende atto e provvede […].
In ogni caso, si creerebbe un esercito di più di un migliaio di intoccabili. Di Pietro propone che i membri del governo possano chiedere il rinvio dell’udienza per legittimo impedimento, a patto che indichino nell’arco di un mese i giorni di disponibilità a comparire davanti ai giudici: ma, naturalmente, la proposta viene subito bocciata da tutti. Il Pd, tanto per cambiare, balbetta. Dopo aver disertato ufficialmente l’oceanico «No Berlusconi Day» organizzato a Roma il 5 dicembre dal «popolo viola», autoconvocatosi via facebook, per protestare contro le ennesime leggi vergogna e difendere la Costituzione, il neosegretario Bersani dice «no a qualunque legge ad personam». Ma il suo sponsor D’Alema si affretta a smentirlo: «Se, per liberare il suo processo, Berlusconi deve liberare centinaia di imputati di reati gravi, è quasi meglio una leggina ad personam per limitare i danni alla sicurezza dei cittadini ». «Certi inciuci – insiste D’Alema a metà dicembre – farebbero bene al Paese», come il sì di Togliatti al Concordato, mentre il vero problema è «la cultura azionista che non ha mai fatto bene all’Italia». E Violante, di rincalzo: «Il progetto Vietti sul legittimo impedimento è la misura meno dannosa. Potrebbe essere un ponte per la riforma generale del sistema». Insomma il Pd farà la solita finta opposizione, sebbene la stragrande maggioranza degli italiani, di destra come di sinistra, sia contrarissima a qualunque legge impunitaria. Secondo l’Ipsos di Nando Pagnoncelli, il 51 per cento degli italiani è contro il «processo breve», il 74 per cento è contro il «legittimo impedimento» per premier e ministri e il 90 è contro l’immunità parlamentare.
Il 12 gennaio 2010 si affaccia improvvisamente l’ipotesi di un decreto blocca-udienze, per sospendere per tre mesi i processi in cui l’imputato non ha potuto chiedere il rito abbreviato in presenza di una «contestazione suppletiva» del pm (per un nuovo reato o un reato commesso in un periodo successivo a quello contestato al momento della richiesta di rinvio a giudizio). Una sentenza firmata dal giudice costituzionale eletto dal Pdl, Giuseppe Frigo, ed emessa dalla Consulta il 14 dicembre 2009, ha stabilito, in un processetto per abusi edilizi nel Pinerolese (Torino), che in caso di contestazione suppletiva l’imputato deve poter decidere se chiedere o meno il rito abbreviato alla luce del nuovo capo d’imputazione, anche dopo la fine dell’udienza preliminare. Il governo coglie la palla al balzo e, facendosi scudo della stessa Consulta insultata e delegittimata per tre mesi come golpista e comunista, ora sostiene di volerne, anzi di doverne recepire il verdetto per decreto. Che, guardacaso, riguarderebbe sia il processo Mills sia il processo Mediaset, entrambi investiti da contestazioni suppletive della pubblica accusa. E consentirebbe al Cavaliere di liberarsi del suo incubo almeno fino alle elezioni regionali di fine marzo. Immediata la disponibilità dei piddini Morando e Violante. Ma il Quirinale è disposto a firmare un decreto che sospenda i dibattimenti solo per un mese e mezzo. Alla fine il governo opta per due mesi. Poi qualcuno fa notare al premier che la cosa servirebbe a poco, anche perché i processi riprenderebbero a metà marzo, in piena campagna elettorale. Del resto il 15 gennaio il processo Mills viene rinviato dallo stesso Tribunale al 25 febbraio in attesa che la Cassazione sentenzi definitivamente su Mills. Insomma l’idea del decreto blocca-processi evapora dans l’espace d’un matin. E si torna a lavorare al legittimo impedimento.
Si riparte da una via di mezzo fra la proposta Vietti allargata e la Costa- Brigandì dimagrita: legittimo impedimento automatico fino a diciotto mesi per gli «impegni connessi con le funzioni di governo» per Berlusconi e i ministri. Esclusi i sottosegretari (per esempio Bertolaso e Cosentino, indagati a Napoli l’uno per lo scandalo rifiuti e l’altro per camorra) e i parlamentari. Così il premier potrà disertare liberamente per almeno un anno e mezzo le udienze dei processi Mills e Mediaset senza che i giudici – come invece stabilisce il codice – possano accertare se l’impedimento sia reale e legittimo, e non si tratti invece di un pretesto inventato o gonfiato o creato ad hoc per non farsi processare.
Quando poi viene chiusa l’inchiesta milanese sui fondi neri di Mediatrade che vede indagati, oltre a Berlusconi, anche suo figlio Piersilvio e il presidente Mediaset, Fedele Confalonieri, una pietosa manina infila fra i beneficiari anche il «concorso di persone», cioè i coimputati, che verrebbero così attratti dall’impedimento del premier. Insomma una legge che è insieme ad personam, «ad familiam» e «ad aziendam ». Ma poi il codicillo scompare, si dice per l’aperta ostilità del Quirinale. Che invece sul resto sarebbe incredibilmente d’accordo. Dopotutto dal Pd non si leva una sola voce nettamente contraria.
All’ultimo momento, al testo definitivo adottato il 25 gennaio 2010 dalla commissione Giustizia della Camera, gli onorevoli avvocati del premier si accorgono che, così com’è scritto, impedirebbe a Berlusconi di comparire nei processi anche come «parte offesa», in quelli che lui stesso ha innescato denunciando giornalisti, politici (come Di Pietro) e Massimo Tartaglia, il folle che l’ha aggredito il 13 dicembre in piazza Duomo a Milano. Dunque le paroline «o parte offesa» vengono frettolosamente cancellate: nessuno potrà trascinare in tribunale Berlusconi, ma Berlusconi potrà trascinare in tribunale chi pare a lui.
Casini e l’Udc, che avevano giurato di votare contro se il legittimo impedimento fosse stato allargato a terzi oltre al premier e se non fosse stato ritirato il processo breve, si rimangiano tutto. La nuova legge ad personam viene approvata il 2 febbraio dalla Camera con 316 Sì (Pdl), 40 astenuti (Udc) e 239 No (Pd e Idv). Assegna alla Presidenza del Consiglio, e non più al giudice, il compito esclusivo di «attestare che l’impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle 2008-2010. Governo Berlusconi-3 543 funzioni» e «a ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di governo». Per cui il giudice dovrà obbedire a un funzionario di Palazzo Chigi e, senza battere ciglio, «rinviare il processo a udienza successiva al periodo indicato» dalla stessa Presidenza del Consiglio, che non potrà chiedere un rinvio «superiore ai sei mesi» reiterabile per altre due volte (cioè, di volta in volta, potrà imporre al giudice di fissare la nuova udienza fino a cinque mesi e ventinove giorni dopo). Risultato: per legge Berlusconi potrà disertare per 18 mesi le udienze in cui è imputato. Nel frattempo la prescrizione, ovviamente, è sospesa. Il tutto in barba all’articolo 101 della Costituzione: «I giudici sono soggetti soltanto alla legge», non certo al governo.
Infatti l’ex presidente della Consulta, Valerio Onida, giudica la norma palesemente incostituzionale. Lo ammette lo stesso onorevole difensore del premier, Pietro Longo: «Questa legge sul legittimo impedimento finisce alla Corte costituzionale». Ed è ampiamente prevedibile che verrà bocciata, visto che oltretutto la Consulta s’è già espressa nel 2001 sugli impedimenti di Cesare Previti, affermando che l’esigenza di celebrare i processi in tempi ragionevoli e quella di assicurare un corretto assolvimento dei compiti istituzionali hanno pari rango costituzionale e spetta al giudice, non certo all’imputato, assicurare un giusto bilanciamento fra le due istanze. Nessuna delle quali può prevalere sull’altra. Senza contare che, mai come in questo caso, è evidentissimo che la legge non è fatta per tutti i cittadini, e nemmeno per una categoria particolare di essi, ma per una persona soltanto: il presidente del Consiglio che nella Costituzione non gode di alcuno status particolare.
Non basta. Bocciando il lodo Alfano, la Consulta ha definito «irragionevole e sproporzionata» la previsione di una «presunzione legale assoluta di legittimo impedimento» dovuta esclusivamente alla carica ricoperta. E ha stabilito che gli impedimenti legati alle alte cariche valgano «solo per lo stretto necessario», «senza alcun meccanismo automatico e generale». Ancora una volta, dunque, si introduce con legge ordinaria una modifica che stravolge i principi fondamentali della Costituzione, modificabili eventualmente soltanto con legge incostituzionale. Ma il Pdl tira diritto per la sua strada, anche nella previsione (o nella certezza) che la legge sia palesemente incostituzionale e dunque destinata alla bocciatura: confida (oltreché nella consueta firma del capo dello Stato) nei tempi lunghi della Corte, sperando che nel frattempo sia andato in porto il piano B: il superlodo Alfano o qualcosa di analogo.