Diamo una mano al ministro Brunetta. Tra le decine di interrogazioni parlamentari che giacciono senza risposta ce n’è una in particolare che dovrebbe stare a cuore a tutti coloro che sono interessati al mercato del lavoro, all’occupazione giovanile e alle tematiche del pubblico impiego. È quella che all’inizio di aprile – i tempi stretti, si sa, non sono propri della politica e delle istituzioni – Donella Mattesini (Pd) ha rivolto al ministro della Pubblica amministrazione per chiedergli un semplice numero: quello degli stagisti in forza presso gli enti pubblici italiani. Il dato infatti è sconosciuto. Grazie all’Unione delle Camere di commercio si conosce in maniera abbastanza precisa il numero di persone che ogni anno fanno questo tipo di esperienze nelle imprese private – 322mila nel solo 2009, un dato aumentato addirittura del 41% negli ultimi quattro anni – ma invece quello di chi va negli enti pubblici è ignoto. Punto di domanda. Black out.
E allora diamo una mano al ministro Brunetta. Un aiutino, una vocale, la telefonata da casa. Ministro, solo gli studenti universitari che ogni anno fanno stage negli uffici di sua competenza – comuni province e regioni, ministeri, tribunali, università, agenzie ambientali, istituti previdenziali, asl, comunità montane… – sono quasi 80mila. Ci si arriva partendo dai dati Almalaurea, con qualche approssimazione e un pizzico di disinvoltura nell’ampliare il dato alla totalità degli studenti universitari italiani. Un altro aiutino: di tutto l’esercito degli stagisti negli enti pubblici, questi 80mila rappresentano esclusivamente quelli che svolgono tirocini mentre fanno l’università. È plausibile che a fare stage nelle pubbliche amministrazioni dopo la laurea siano altrettanti. Quindi potremmo dire, con buona probabilità, che più o meno 150mila studenti universitari e neodottori fanno ogni anno stage negli enti pubblici.
Oltre a questi, drenati dalle università, è assodato che ce ne siano altre decine di migliaia: innanzitutto la categoria dei diplomati, poi quella dei laureati non “neo”, infine quella di chi fa master o scuole di specializzazione che al loro interno, o al termine, prevedono più o meno lunghi periodi di stage “per completare la formazione”.
E quindi circa 200mila giovani ogni anno entrano negli enti come stagisti, danno una mano, imparano ma spesso anche insegnano – basti pensare alle competenze informatiche che a molti funzionari pubblici difettano – e sopratutto producono. Dalle piccole cose, le fotocopie le relazioni le tabelle excel, alle grandi cose, quando per esempio – e capita, eccome se capita – allo stagista vengono affidati compiti specifici da svolgere in autonomia, perché il personale è poco e il lavoro è tanto.
200mila è però un numero impreciso. Conoscere quello esatto sarebbe utile per molte ragioni, innanzitutto per comprendere meglio il fenomeno: ragionare su un tema conoscendone l’entità è sempre meglio che andare a tentoni. In secondo luogo, per capire quanto gli enti si appoggino sugli stagisti; è cosa nota che, a partire dai tagli e dai bilanci in rosso, gli amministratori della cosa pubblica cercano di reperire risorse là dove costano meno: ed è innegabile che i tirocinanti costino meno, anzi non costino nulla, non avendo diritto allo status di “lavoratori”, a uno stipendio, a una prospettiva occupazionale. Tre mesi, sei mesi, talvolta addirittura un anno di stage e poi arrivederci e grazie, del resto si sa che nel pubblico non si assume a chiamata, bensì soltanto tramite concorso. Ed è il mito dell’impiego pubblico, della serie “forse qualcosa ne ricavo, forse mettendo un piede dentro finisco per restare” – per giovani costantemente alla ricerca di un minimo di stabilità, in un mondo del lavoro che offre ben poche certezze – la leva che spinge questo abnorme numero di ragazzi ogni anno ad accettare di lavorare gratis per lo Stato. Perché di questo si tratta.
Un altro aiutino, ministro. Solo al ministero degli Esteri attraverso il programma Mae-Crui entrano 1.800 tirocinanti ogni anno. Vergognosamente senza percepire nemmeno un euro di rimborso spese, malgrado vengano sparpagliati per il mondo e finiscano talvolta nelle ambasciate e nei consolati più lontani. Nessun tipo di rimborso, tutto a carico loro, perfino il viaggio, l’alloggio, addirittura l’assicurazione medica indispensabile in quei Paesi dove la sanità è a pagamento. Pensare che basterebbe destinare lo 0,2% del bilancio del Mae a questo scopo, e tutti gli stagisti potrebbero godere di un rimborso spese decente… Ma questa è un’altra storia, e chiama in causa un altro ministro, il suo collega Frattini.
Coraggio, ministro Brunetta. Faccia un censimento degli stagisti negli enti pubblici. È importante per lei per capire cosa succede nella sua parrocchia, è importante per tutti noi scoprire alla fine chi paga i tagli alla pubblica amministrazione… Non sarà mica che, invece di riformarla e renderla più efficiente, si stia semplicemente spostando il peso della carenza e dell’inadeguatezza del personale su giovani di belle speranze ma senza tutele?