Al processo all'ex sindaco si apre uno spaccato di scambi di favori, poltrone, soldi. L'imputato Tuzet in tribunale spiega ai giudici: "Ero circondato da persone incapaci, e dovevo muovermi in mezzo ai ricatti"
Ora tocca a lui difendersi. E a sentire le sue dichiarazioni più che un aula di giustizia sembra di spiare all’interno di un confessionale. “Ero circondato di incapaci e dovevo muovermi in mezzo ai ricatti” sospira davanti alle toghe. È solo il preludio al rosario di affari, favori, scambio di poltrone che, con un candore disarmante, sta per salmodiare.
Un episodio su tutti. All’indomani della sua elezione viene avvicinato da Paolo Matlì, oggi coordinatore comunale del Pdl, all’epoca in forza ad Alleanza nazionale, partito di riferimento anche dell’ex primo cittadino. “Mi disse dopo pochi mesi dal mio insediamento che poteva farmi cadere quando voleva, perché aveva 270mila euro a disposizione per corrompere sei consiglieri di maggioranza”. La circostanza viene confermata nel corso del dibattimento dal coimputato che parlerà dopo di lui.
Ma i soldi non erano l’unica moneta di scambio in questo feudo del centrodestra consegnato dal ballottaggio del 30 maggio al centrosinistra. “Ci sono i posti della Fondazione Patrimonio Studi, dove su cinque consiglieri tre sono di nomina politica spettante al Comune, c’è la Cmv… Si decide a chi darli, come penso facciano tutti”.
Uno di questi posti andò proprio ad Antonio Baroni uno dei consiglieri più contesi al momento del voto di fiducia del 2008 (fu lui a denunciare ai carabinieri il presunto tentativo di corruzione operato nei suoi confronti). Al processo Baroni disse che gli vennero offerti 20mila euro per far cadere Tuzet.
“Baroni mi diceva che eravamo seduti sopra una montagna d’oro e che bastava allungare la mano per prenderlo – racconta Tuzet -. In quei giorni mi confidò che era stato avvicinato per votare contro il bilancio. Aggiunse che gli offrirono 20mila euro, ma che lui ne valeva almeno 50mila. Chiese del denaro anche a me”.
Baroni non voterà contro e otterrà una poltrona alla Patrimonio studi e successivamente nel collegio della Fondazione Zanandrea. “Incarichi non di responsabilità, ma di mera visibilità” specifica l’imputato. E in effetti a quel tempo i consiglieri della Patrimonio studi non erano retribuiti. Ci penseranno loro stessi a darsi lo stipendio, deliberando una prebenda di 600 euro mensili.
Un’altra comoda poltrona finì nel curriculum di Adriano Orlandini. Stiamo parlando dell’uomo che, a capo della coalizione di centrosinistra sfidò Tuzet al ballottaggio di cinque anni fa. Insomma il capo dell’opposizione. Fu il suo voto a salvare colui che fino ad allora era il suo nemico politico numero uno. Dal successivo rimpasto gli verrà affidata la carica di presidente del consiglio comunale (“incarico retribuito con circa 1000/1500 euro al mese”), “proprio in funzione del suo aiuto” ammette Tuzet, salvo poi correggere il tiro e aggiungere che “con lui si era fatto un più ampio discorso politico per iniziare un nuovo corso”.
Cambi di casacca e manovre che non avevano lasciato indifferente l’elettorato. “Voci”, come le definiscono i testimoni, di compravendite di consiglieri giravano con insistenza a Cento. Con tanto di listino prezzi e scommesse al rialzo. Come al più classico mercato delle vacche.
E allora il pm Nicola Porto gli chiede se ne fosse a conoscenza, di queste voci. “Giravano da sempre” ammette quasi stupito dalla domanda Tuzet: “questo è l’ambiente in cui mi sono venuto a trovare; io ho solo cercato di evitare il commissariamento del Comune, perché sarebbe stato ancora peggio per Cento”.
Le “confessioni” di questo medico prestato alla politica vanno verso la conclusione. Non prima però di spargere un po’ di fiele dietro la sua porta che si chiude. “Si andava avanti a ricatti – allarga le braccia -. E bisognava accettare. Non credo che sia una cosa tanto strana, nei Comuni è la normalità”.
Una normalità che è costata la sconfitta elettorale. Ma Tuzet non si cruccia. Anzi. “Sono contento che il Comune sia passato al centro-sinistra”.