Vado al Gay Pride dal 1994, ossia da quando se ne organizzano in Italia (a parte l’anteprima dell’associazione Fuori negli anni Settanta a Torino), e ho visto crescere e cambiare questa manifestazione di anno in anno. All’inizio eravamo quattro gatti, per lo più terrorizzati dal venire inquadrati dalle telecamere o ripresi dalle macchine fotografiche dei giornalisti presenti alla manifestazione. Eravamo adolescenti, o comunque giovani. Molti di quei quattro gatti della “classe 1994” non aveva fatto alcun coming out (il dire di sé al mondo) con le proprie famiglie, e farlo sapere alla mamma e al papà tramite il Tg1 non sembrava il modo migliore di mettere in tavola il discorso. Poi, col tempo, quella paura è stata dissolta dai coming out che abbiamo faticosamente costruito. Coming out attraverso lettere, libri, film, canzoni, chiacchierate, telefonate, con l’aiuto di amici, consulenti, fidanzati o parenti in grado di intermediare.
Dal 1994 al 2011 sono passati 17 anni, la manifestazione è diventata quasi maggiorenne. Caspita, se ne sono cambiate di cose! Nel 1994 la Destra di Fini faceva coretti stonati in tv contro “i froci”, nel 2011 ha sfilato con le sue bandiere chiedendo pari diritti per i gay. E’ una vittoria del Gay Pride, ma è anche una vittoria della Destra di Fini, oggi di stampo europeo e occidentale, ed è dunque una vittoria anche dell’Italia come Paese. Così come è una vittoria di tutti vedere sfilare uno dietro l’altro lo stendardo della Chiesa Valdese e poi le bandiere di Democrazia Atea, lo striscione dei Gay Credenti di Nuova Proposta e quello dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti. Tutti insieme in una stessa marcia politica: non si tratta forse di un miracolo laico?
Già da alcuni anni ero rimasto favorevolmente colpito dalla presenza di tanti bambini e tanti under 20 alla marcia che rivendica il concetto più semplice al mondo: “uguali tasse, uguali diritti”. Però rispetto anche alle marce degli anni più recenti, la manifestazione del 2011 si è caratterizzata per la partecipazione di famiglie con due papà o due mamme all’interno del vastissimo corteo e non solo, organizzate nello splendido trenino dell’associazione Famiglie Arcobaleno, che rappresenta appunto lo spicchio più militante e determinato di questa bella realtà italiana.
L’Europride del 2011 è diventato per la prima volta una manifestazione di popolo. Un popolo fatto di famiglie semplici, magari omosessuali oppure eterosessuali, scese coi passeggini a conquistare le strade di Roma dai quattro angoli d’Italia e d’Europa. Genitori in genere sui trentacinque-quarant’anni, che hanno finalmente realizzato il sogno di una vita: mettere su famiglia assieme alla persona che amano, fregandosene di ciò che gli integralisti sostengono. Perché come hanno capito i Parlamenti di quasi tutto l’Occidente tranne quello di Roma, “famiglia” è là dove due persone adulte sono unite da un legame d’amore, da un progetto di vita. “Famiglia” è la coppia etero con o senza figli. “Famiglia” è la coppia di lesbiche con o senza figli. “Famiglia” è la coppia di gay con o senza figli. Figli biologici, figli da inseminazione eterologa, figli da inseminazione omologa, figli adottivi, ma comunque: figli.
La presenza di queste famiglie gay con figli è un’affermazione politica intrinseca: il governo dice che noi non esistiamo, eppure noi esistiamo. E mi domando cosa potranno fare un Giovanardi, un Buttiglione o un Bagnasco davanti a questo tipo di realtà, così diversa e colorata da quella che loro vorrebbero ci fosse. Ma, appunto, una realtà concreta, e sempre più numerosa in Italia come in Europa.
L’altro aspetto che mi ha colpito di questo Europride sono le migliaia di coppie eterosessuali, di tutte le età, solo in piccola parte all’interno dell’applauditissimo spezzone dell’Agedo, l’Associazione genitori di omosessuali o dell’Arcietero, gli “eterogenei in favore dei diritti degli omosessuali”. Queste coppie eterosessuali che marciano al Pride stanno diventando di anno in anno sempre più numerose. Hanno capito che il Gay Pride non è “solo” la marcia per i diritti delle persone Lgbt (lesbiche, bisessuali, gay e trans) per commemorare la rivolta di Stonewall, ma anche una marcia politica che riguarda la loro libertà: la libertà di tutti di amare e di poter essere ciò che si è alla luce del sole, e con tutti i diritti civili del caso. Sì, il Gay Pride è cresciuto in questi 17 anni, ed è cresciuto anche a Roma, sotto al Cupolone del reazionario Ratzinger, che pure proprio negli ultimi giorni – tomo tomo, cacchio cacchio – sta offrendo al mondo un’interpretazione diversa di ciò che la Chiesa cattolica ufficiale intende col concetto di “natura”, e scusate se è poco.
Al termine, si è tenuto l’intervento di Lady Gaga, portata incredibilmente a Roma dal Circolo Mario Mieli e dall’ArciGay, con la complicità dell’Ambasciata Statunitense in Italia e l’aiuto del Dipartimento di Stato americano. Lo ammetto: non conoscevo l’icona pop del XXI secolo. La musica pop e l’industria che le gira intorno non sono il mio campo e tendo a essere molto ignorante sulle sue mode. Però bisogna dire che prima di cantare – benissimo: altro che Madonna! – Lady Gaga ha messo insieme un discorso politico molto più coerente di tanti discorsi sentiti da parte di politicanti di professione. Ha parlato di cose semplici quali l’importanza dell’amore e il concetto di uguaglianza. Cose semplici ma non banali, non almeno nel Parlamento di Roma, che ancora non ha approvato né una legge contro l’omofobia, né una legge sulle unioni civili, né una legge sul matrimonio per tutti, né una legge per estendere l’adozione di figli ai single e alle coppie dello stesso sesso.
Allora, adesso che la marcia è finita, occorre che quello stesso Parlamento di Roma si dia una svegliata, e incominci a fare il suo dovere: legiferare per cambiare le cose, sui diritti civili come in campo socio-economico. Per avere quello che manca al popolo Lgbt, ma anche quello che manca ai milioni di precari, agli inoccupati, ai disoccupati, ai cassaintegrati, alle donne, ai disabili, agli immigrati, ai professori di liceo, agli studenti, ai lavoratori a progetto o a chiamata, a chi è dovuto tornare a emigrare per trovare una strada. Che questo Europride diventi per una volta la marcia per i diritti di tutti: per il diritto ad avere un futuro, a poter progettare, a poter essere felici a prescindere dal proprio orientamento sessuale. L’Unione Europea ha indicato la strada: che la legge sia – veramente – uguale per tutti.
Nella foto, la parata dell’Europride 2011 per le vie di Roma. Per ingrandire clicca qui