Pochi giorni fa mi si é aperto davanti agli occhi un nuovo abisso nell’Italia del (non) lavoro: il primo sciopero in un supermercato Auchan. La cosa stupefacente, in quel caso (Roma Casal Bruciato, ma é successo anche a Torino, poco dopo) é che si é verificato un fenomeno quasi osceno: ovvero le proteste dei clienti, inferociti per aver trovato alcuni reparti del supermercato chiusi di domenica: “Andate a lavorare!”, hanno gridato ai ragazzi dell’Auchan, perché non potevano concepire di vedere interrotto il loro piccolo, autistico culto di consumo.

Non ho nulla contro i supermercati, anzi li frequento con una certa assiduità, mi ci trovo bene, sono un fedele delle nuove cattedrali pure io. Sono violentemente ostile, invece, alla ferocia dei troglo-consumatori. Sono andato a Casal Bertone, allora, a raccontare. Non più da cliente, ma da giornalista. É stato un viaggio nell’orrore. Dentro il supermercato ognuno dei trecento dipendenti era di fatto solo, davanti alla direzione. I ragazzi assunti fin dall’apertura (12 anni fa) erano quelli che avevano promosso lo sciopero per due motivi:
1) Per conservare il diritto a scegliere se lavorare la domenica o no.
2) Per mantenere il ridicolo straordinario che veniva loro riconosciuto (la bellezza di 2,70 euro all’ora!).

Ma i nuovi assunti, quasi tutti flessibilizzati con il part time, questi “privilegi” non li hanno più. Quindi faticano a essere solidali. Le cassiere sono il prototipo del nuovo lavoratore flessibilizzato del terzo millennio: contratto part time, domenica obbligatoria su richiesta della direzione, nessuno straordinario. Sono solo a pochi metri dal reparto televisioni da cui é partita la protesta, queste cassiere, ma é come se fossero in un altro mondo, una realtà separata. Tutto il supermercato é un piccolo grande fratello dove i lavoratori non parlano volentieri con un giornalista per via della video-sorveglianza. E tutto il supermercato non é una fabbrica in cui i lavoratori si possono unire per chiedere un contratto o dei diritti, ma un insieme di tribù in cui tutti lottano per l’autosopravvivenza, una nell’inconsapevolezza delle condizioni dell’altra,  e tutti sono disarmati di fronte al datore di lavoro, divisi da diverse modalità di contratto.

I sindacati tradizionali non esistono più. CIsl e Uil si sono autodistrutte firmando un contratto para-schiavile in cui per i primi tre giorni di malattia il lavoratore non viene pagato. Dopo la settimana che ho passato davanti a Mirafiori, mi sembra ancora più eroica la battaglia della Fiom contro il referendum Marchionne e in difesa del contratto nazionale.

Se il futuro del lavoro fosse il modello Auchan, viva l’anacronismo. Anche perché lo sciopero, arma antica, e spesso delegittimata dalla propaganda degli amici del giaguaro, questi ragazzi (che guadagnano nel migliore dei casi 1.150 euro al mese) é davvero un sacrificio e un privilegio, non certo una comoda e pigra abitudine. Ma, lo sciopero, malgrado tutto, é anche un’arma che non perde mai la sua forza. “Io – mi ha raccontato una ragazza di un reparto, chiamiamola Maria – non avevo aderito: per pigrizia, per debolezza. Ma quando ho visto che, per fare crumiraggio, i dirigenti delle Risorse Umane erano costretti a caricare loro i bancali con i rifornimenti delle merci, ho provato una sensazione strana. Un po’ di rabbia, perché quello che stavano facendo era assurdo. E un po’ di divertimento, perché per la prima volta i nostri capi mi sembravano goffi e ridicoli. Allora mi sono scoperta a pensare, mentre assistevo a questo spettacolo, alle cinque del mattino: che schifo. Può succedere qualsiasi cosa. Ma la prossima volta faccio sciopero pure io”. Lo avevo visto già a Torino. Il coraggio, come solo la paura, può essere contagioso.

Ps: Apparentemente non c’entra, peró ovviamente c’entra: stamattina tutti a votare.

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