L’uomo che ha fregato un intero paese”, come lo ha definito l’Economist della scorsa settimana, è stato battuto. Nettamente e seccamente. Se per anni ci siamo sentiti ripetere che qualunque cosa facesse, aveva “la maggioranza del paese”, ora è certo che quella maggioranza – tra l’altro avuta solo in Parlamento e mai, tranne che nel 2001, nel Paese – non c’è più. Berlusconi è finito, battuto, la sua epoca tramontata. Il vento, da questo punto di vista, è cambiato davvero. Aveva chiesto di “andare al mare” e circa il 57 per cento degli elettori, di tutti gli elettori si badi bene, gli ha disobbedito. Anzi, gli ha tirato contro una sonora pernacchia.

E’ una svolta storica che non è chiaro chi beneficerà. Il Pd? Vendola? O addirittura Tremonti, a capo di un governo che ricuce con Fini e Casini? Vedremo. Quello che conta è registrare che una fase storica dell’Italia è archiviata anche se assisteremo a colpi di coda, a una lunga agonia, anche a ipotesi di reazione.

Ma non perde solo Berlusconi. Perde anche il liberismo, l’idea che il mercato sopravanzi il pubblico. Il referendum guida di questa consultazione non è stato il nucleare ma quello sull’acqua. I comitati che si sono battuti, nel silenzio atomico dell’informazione progressista, per ripristinare il primato del “bene comune” sono il soggetto trainante. Sono loro ad aver raccolto 1,4 milioni di firme, ad aver lavorato in silenzio per anni, ad aver garantito autonomia dai partiti e dalle loro manovre. Parafrasando un fortunato slogan, con il voto di oggi “le nostre vite” hanno avuto la meglio “sui loro profitti”. E ai comitati occorre il coraggio di dire “ben scavato”. Oggi Bersani si intesta la vittoria ma il Pd non ha fatto nulla, nulla, per questi referendum, li ha osteggiati e poi subiti. Lo smacco che subisce nelle regioni e città in cui governa, e in cui ha privatizzato l’acqua pubblica, costituisce la sconfessione delle sue politiche.

C’è molto da imparare da questa vittoria. Ha vinto la società in movimento, il lavoro di base radicale e appassionato, la capacità di riprendere un filo e di tessere una strategia. La politica dovrebbe nutrirsene e dovrebbe imparare che la radicalità dei contenuti non è un freno ma può divenire un vantaggio acquisito. Con Berlusconi, ad esempio, perde anche la Confindustria pronta a gettarsi sull’affare del nucleare e già presente in quello dell’acqua. Sono in molti, oggi, a piangere.

Ma c’è ancora di più. Una fase storica si chiude e un’altra, indefinita al momento, si apre. Succede grazie a uno strumento di partecipazione democratica, il referendum, che esprime la forma massima di democrazia diretta oggi consentita in Italia. E’ un filo che occorre dipanare di più perché un’altra politica, e con essa un’altra sinistra, non può darsi con formuline magiche, leader carismatici o con il gioco delle primarie. C’è una riflessione da fare su come estendere, e conquistare, forme di democrazia diretta vitali ed efficaci e come, su questa linea, riguadagnare alla politica milioni di persone che se ne sono ritratte, schifate, che poi si sono indignate e che oggi hanno voluto dire la loro. Se in Spagna è il tempo dell’indignazione, se nel mondo arabo quello della “rivoluzione”, almeno in Italia può venire il tempo della partecipazione come antidoto agli affari privati, allo strapotere dei profitti, alla malapolitica e alla corruzione.

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