E’ strano votare da fuori sede nel proprio luogo di origine, ma stavolta è così.
Dovrei votare a Bologna però sono a Squinzano. L’unico modo per non perdere il referendum è diventarne promotore, ossia rappresentante di lista. Ne vengo a conoscenza al limite del tempo massimo tuttavia riesco a farmi inserire (un grazie a chi mi ha dato una mano). Tra tutte le chiamate al voto il referendum è quello che maggiormente solletica il mio senso civico, ingenuo come quando alle elementari ci consegnarono una copia della Costituzione e fui sul punto di credere che principi come uguaglianza, libertà, diritto e dovere fossero sacrosanti e intangibili proprio perché sanciti e difesi da quel documento.
Vado a votare dunque. Curiosamente osservo che, pur vivendo in tempi d’imperante modernità, i seggi elettorali assomigliano (probabilmente) a quelli di cinquanta anni fa, vuoi perché le scuole che li ospitano sono spesso pezzi di storia, come questa dove mi trovo io (la stessa che ho frequentato da piccola), vuoi perché ci sono dettagli decisamente anacronistici: a illuminare ciascuna delle quattro cabine le cui tendine si agitano contemporaneamente, mosse dalla brezza di giugno, pendono altrettante lampadine a incandescenza (nemmeno quelle a risparmio elettrico e luce bianca) appese a un unico improvvisato cavo che da una parte è attaccato al muro e dall’altra fuoriesce dalla finestra aperta, sparendo chissà dove. Il seggio in questo momento è vuoto, ci sono tre ragazze e un ragazzo che aspettano l’arrivo di altri elettori oltre me. Nei corridoi invece c’è fermento. Ci sono rappresentanti politici e istituzionali, vigili e gente del paese.
Scrutatore, rappresentante di lista, presidente di seggio: uno di quei lavoretti che in molti abbiamo fatto almeno una volta, per quei soldini che “sono pochi ma almeno arrivano di sicuro”. Un anno anch’io a Bologna ho lavorato come scrutatore all’ospedale Rizzoli, girando per le corsie con il mio presidente di seggio, muniti di un carrello di quelli da infermiere con cui passavamo a raccogliere i voti dei degenti. Mi ero scelta quel tipo di ospedale per evitare di vedere sofferenze troppo grandi per la mia capacità di sopportarle. Ci infilarono anche i calzari sterili e il camice per far votare chi era immobilizzato, attaccato alle macchine.
Mi prendo il tempo necessario a leggere per la prima volta il testo completo dei cinque quesiti (noi ne abbiamo uno in più qui) per quanto conosca già la loro sostanza e le mie risposte. Visualizzo docce veloci e il rubinetto chiuso a ogni lavata di denti.
Vengo dalla Puglia assetata dove al primo piano di casa mia in certi orari e in certi giorni la pressione idrica è ridottissima e non riesci a farti lo shampoo. Personalmente anche nella ricca Bologna in tutti questi anni ho sempre puntato al risparmio. Mi fa rabbia pensare all’inquinamento e al risparmio energetico come a problemi la cui risoluzione è affidata solo a grandi numeri e risorse. Idealisticamente, semplicisticamente, in maniera puerile penso a tutto lo spreco (e il danno) del riscaldamento e del raffreddamento, tale che negozi, strutture pubbliche e case private tengono porte e finestre aperte con temperature polari in estate e tropicali in inverno adducendo impossibilità di poter vivere o lavorare a condizioni differenti da queste così estreme, e il mio pensiero va a quando non c’era tutto ciò. Forse le città si fermavano, forse nessuno riusciva a vivere e compiere il proprio dovere, o non esistevano estati altrettanto torride e inverni rigidi?
Leggo il testo sul nucleare e penso alle pale eoliche che a me sembrano così belle, le vedo stagliarsi tra i campi, disseminate nel mio Salento, rimanendone estasiata tutte le volte che mi corrono incontro avvicinandosi e ingrandendosi sempre di più mentre le supero in macchina. Qualcuno mi ha fatto notare che invadono il paesaggio. I tralicci della corrente elettrica allora? E i binari che tagliano le campagne? Le pale in confronto sono spettacolari nel loro candido bianco, affascinanti nelle loro enormi dimensioni, e soprattutto pulite, o almeno a me così sembrano.
Quando arrivo al legittimo impedimento non mi fermo un istante più di quello necessario a scrivere. Spesso la natura è ingiusta di suo, mi piacerebbe che per una volta fossimo più bravi di lei.