“O ci smarchiamo dal Pdl o è la fine”. In via Bellerio, a forza “di prendere sberle”, qualcuno s’è svegliato. E per la prima volta il vertice della Lega costringe all’angolo Umberto Bossi, il Capo. Mentre l’alleato Silvio Berlusconi si consola dal manrovescio dei referendum comprando collanine e mostrando indifferenza, il senatùr ha chiamato a raccolta i colonnelli per capire cosa fare. Non tanto perché deciso a staccare la spina al governo ma piuttosto per trovare qualcosa da portare domenica a Pontida, dove la base, oltre ai soliti scudi e caschi da vichinghi, porterà tutto il malcontento accumulato in questi anni e già depositato nelle urne alle amministrative. E a Pontida guarda con preoccupazione anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che sa come lì la Lega debba trovare la svolta. Così si porta avanti: “Da Pontida non accetteremo provocazioni contro Roma, la misura è già ampiamente colma”. Il trasferimento dei ministeri è l’oggetto del contendere.
Roberto Calderoli lo ha citato ieri durante il vertice. Riduzione della pressione fiscale per le aziende del nord (in particolare piccole e medie imprese), trasferimento di alcuni ministeri in Piemonte, Lombardia e Veneto. “Ai nostri non interessa”, ha sbottato Roberto Maroni. Il ministro dell’Interno, con l’aplomb che ormai lo contraddistingue (finiti i tempi in cui azzannava ai polpacci i poliziotti), ha ripetuto quello che aveva detto al Corriere della Sera: “Berlusconi deve iscriversi nella categoria dei coraggiosi e lanciare un programma ambizioso e deve farlo adesso, il 21 giugno al Senato e il 22 alla Camera” altrimenti “si va a votare”. Coraggio, dunque, a partire dalla tanto annunciata riforma fiscale. Perché il coraggio altrimenti lo trova la Lega. Certo, a Bossi e Calderoli lo ha detto in modo ancora più chiaro, riportando fedelmente il messaggio che da mesi arriva dalla base del partito: dobbiamo smarcarci dal Pdl e mollare Berlusconi.
A Pontida non basta portare qualche promessa. Per salvare il partito sul Sacro Prato bergamasco si deve sacrificare qualcosa. Meglio lasciarci Berlusconi. Per ridare speranza agli elettori e riconquistarne la fiducia c’è un’altra alternativa: che Bossi lasci la guida del Carroccio. Per carità, rimarrebbe comunque “simbolo e mente” del movimento ma sarebbe più un “consigliere politico, la guida” che affiderebbe compiti e messaggi a due barra tre generali impiegati sul campo romano. Una sorta di decentramento. Il Capo Bossi insediato in Padania, da dove manda emissari nella Capitale. L’ipotesi avrebbe una valenza simbolica. E tra alambicchi con l’acqua (sacra ovviamente) del Po, giuramenti sulle zolle bergamasche e spadoni vari, il popolo leghista ha sempre mostrato affezione a tutto ciò che è simbolico.
La successione del Capo è un tema ormai ufficialmente all’ordine del giorno. Fino a un due mesi fa alcuni esponenti del partito ne parlavano di nascosto e sotto voce, ma dopo il risultato disastroso delle amministrative, l’ipotesi ha preso corpo. Oggi, con la doppia sberla del referendum, è stata ufficializzata tra le possibilità. Tanto che proprio da Pontida Bossi potrebbe annunciare il passaggio di mano. Il Capo, da contadino politico, aveva per primo compreso la necessità. Tanto che, nel comizio di chiusura campagna elettorale al primo turno, dal palco si era rivolto ai giovani: “Ora tocca a voi”. Ma se il senatùr pensava di poter lasciare il testimone al figlio Renzo, ha dovuto ricredersi perché persino nel cerchio magico che lo circonda l’ipotesi fa storcere il naso a molti. La questione è dunque rimandata, prima è meglio un passaggio intermedio, come scritto: l’insediamento di una sorta di “consiglio di guerra” cui affidare i prossimi passaggi politici e, soprattutto, il dialogo diretto con Silvio Berlusconi.
Così facendo, infatti, affermano in via Bellerio, la Lega si smarcherebbe da quel presunto legame di amicizia Bossi-Berlusconi e costringerebbe il premier a parlare e confrontarsi con altri esponenti del Carroccio. L’obiettivo è quello di spostare l’asse del dialogo dal premier al nuovo segretario politico del Pdl, Angelino Alfano. Ma il Cavaliere sembra non avere ancora alcuna intenzione di passare la mano e affidare il partito ad altri. Tutt’altro. Il fedelissimo Gianni Letta in queste ore sta organizzando un incontro per il pomeriggio a Palazzo Grazioli affinché il Pdl valuti e affronti le conseguenze del successo del referendum. E soprattutto per prepararsi al passaggio alla Camera il 22 giugno della verifica parlamentare chiesta da Giorgio Napolitano. Ma il rischio maggiore può arrivare dalla Lega, che arriverà in aula tre giorni dopo il passaggio di Pontida. Eppure, con il Carroccio, di contatti da Palazzo Grazioli ancora non ce ne sono stati.
O forse il telefono di Giancarlo Giorgetti era occupato. Il coordinatore lombardo del Carroccio, infatti, da stamani è impegnato, su ordine di Bossi, a contattare molti degli amministratori locali leghisti per raccogliere opinioni, consigli, pareri, stati d’animo in vista di Pontida. Da Roberto Cota al fidatissimo Leonardo Carioni. Una ventina di telefonate. E tutte con un’unica risposta: O molliamo il Pdl o è finita.
Ufficialmente il capogruppo alla Camera, Marco Reguzzoni, stempera le preoccupazioni. “Noi non abbiamo paura di niente. I primi ad arrabbiarci se non facciamo le riforme, siamo noi”, dice a Montecitorio. “La base della Lega rappresenta il pensiero del gruppo dirigente. Non c’è uno scollamento, loro vogliono le cose che vogliamo noi: fermare l’immigrazione, abbassare le tasse, riformare questo sistema istituzionale ormai obsoleto. Lo vuole la nostra militanza e lo vogliamo noi”. Certo, ma Reguzzoni non ha partecipato al vertice di via Bellerio.