Mancato versamento delle imposte, operazioni immobiliari che avrebbero gravato sulle casse di quattro aziende fallite, ingiusti profitti a danni dei creditori e sottrazione di documentazione aziendale (come libri contabili e scritture contabili). Sono le accuse formulate dai sostituti della procura della Repubblica di Milano Luigi Orsi e Gaetano Ruta nei confronti dell’immobiliarista bolognese Vittorio Casale, nato a Parma nel 1960, di Gian Guido Bonatti, classe 1943 e originario di Piacenza (dove i magistrati ritengono che risieda tuttora nonostante la residenza – definita “di comodo” dai pm – in Svizzera), e di Francesco Vizzari, nato a Napoli nel 1966 e trasferitosi a Roma.

Le ipotesi di reato, contenute nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Fabrizio D’Arcangelo, si articolano in un periodo che va dal 2003 fino a fine 2010 e riguardano il fallimento di una serie di società a responsabilità limitate, la Operae Abruzzi, la Operae Partners, la Operae Parlamento e la Cile Immobiliare Castello.

E a giustificare l’arresto dei tre, dicono i magistrati, non c’è solo il pericolo che i reati continuassero e che i danni per i creditori diventassero più gravi, ma che qualcuno prendesse il largo riparando all’estero, forse in Sudafrica, per lanciarsi magari in nuove attività imprenditoriali.

Tutto iniziò con una segnalazione dell’agenzia delle Entrate. L’indagine, partita a metà 2010, nasce a Roma quando l’Agenzia delle Entrate aveva segnato all’autorità giudiziaria un movimento strano che riguardava la Skt, società a ritenuta in carico a Bonatti: l’acquisto, nel dicembre 2008, delle quattro aziende citate nell’ordinanza emessa dal Gip di Milano e in origine controllate dalla Operae Spa, una holding del gruppo di Vittorio Casale.

Nello specifico, a destare qualche sospetto era il fatto che queste acquisizioni non erano state iscritte a bilancio della Skt. Inoltre c’era la forte esposizione delle quattro aziende verso l’erario, per un totale di quasi 19 milioni di euro a fronte dell’assenza di qualsiasi voce attiva. “L’analisi condotta dall’Agenzia delle Entrate sui bilanci di queste società ne evidenziava l’insolvenza”, si legge nell’ordinanza e dunque il 1 ottobre 2010 veniva presentata istanza di fallimento al tribunale di Milano.

Ulteriori accertamenti su bilanci e scritture contabili condotti dalla guardia di finanza andavano più nel dettaglio della storia delle quattro società. Primo: erano state cedute nel dicembre 2008 dalla Operae Spa alla Skt, controllata per l’80 per cento da una fiduciaria, ma della quale – ritengono gli inquirenti – “il beneficiario economico risulta Gian Guido Bonatti”.

Inoltre, “non vi sono evidenze di un effettivo pagamento” della cessione. E in proposito ha detto Casale agli investigatori: “Gli accordi intercorsi con Bonatti prevedevano che quest’ultimo si accollasse i debiti delle quattro società in quanto si stimava che il valore di avviamento delle aziende e in particolare lo sfruttamento del nome Operae fosse pari al valore delle passività”.

Inoltre, nel merito dei bilanci del 2008, gli ultimi depositati, la loro analisi – si racconta ancora nell’ordinanza – evidenzia tre fasi comuni alle quattro aziende. “Ciascuna società ha realizzato importanti plusvalenze negoziando immobili, ciascuna società ha devoluto una importante quota di quanto ha realizzato distribuendo cospicui dividendi ai soci; tutte le società hanno costituito e inadempiuto importanti debiti verso l’amministrazione finanziaria dello Stato. Una sequenza con effetto letale, il dissesto”. Nel mirino degli inquirenti poi diverse operazioni immobiliari per milioni di euro che hanno riguardato stabili collocati a Roma, Caserta, Arzano (provincia di Napoli) e Assago (Milano).

Diversi di questi immobili si trovano anche a Bologna. Tra questi ce ne sono tra via Cairoli, piazza dei Martiri e via don Minzoni (16 milioni e 600 mila euro più Iva), via da Formigine (12 milioni e 500 mila euro), piazza della Costituzione (60 milioni), via Ferrarese (7 milioni) e via Nanni Costa (oltre 38 milioni di euro). Vendite che vengono effettuate, in alcuni casi con ritmi vorticosi e più volte, in un arco che va da pochi giorni a pochi mesi dall’acquisto. E che ha visto compravendite con società dai nomi noti, come Capitalia Leasing, Unipol Assicurazioni, Gruppo Pirelli, Banca Italease e Unicredit Leasing.

Il gruppo Casale non risolve i problemi ma li ‘sposta” da una società all’altra”. Da tutto questo, hanno sottolineato gli accertamenti giudiziari, si dimostrerebbe che “la fuoriuscita delle quattro società fallite dall’orbita del gruppo Operae riconducibile a Vittorio Casale appare giustificarsi con l’intenzione di disfarsi formalmente di enti che costituivano un pesante fardello per un gruppo già gravato da un pesante indebitamento, alle prese con tentativi di salvataggio e rigoneziazione delle esposizioni con il mondo bancario; la gestione del gruppo Casale, un coacervo di imprese insolventi, è tuttora ispirata a una metodica illecita; tanto Casale e Vizzari quanto Bonatti si sono adoperati per ostacolare le indagini”. Inoltre “l’illecita joint venture tra gli uomini del gruppo Casale e Bonatti si allarga alla vicenda della Durini Immobiliare Srl, società facente capo a Bonatti”.

Centrale sarebbe il ruolo di Vittorio Casale. Scrivono infatti i magistrati: “Il gruppo Casale non risolve i problemi delle società controllate ma dimostra l’attitudine a ‘spostarli’ da una all’altra”. Inoltre, Sabina Di Placido, originaria socia del gruppo Operae, ha dichiarato agli inquirenti che Francesco Vizzari, altro indagato nella vicenda, era “l’alter ego di Casale in tutte le operazioni che hanno interessato il gruppo”. E quindi – ipotizza la procura di Milano – amministratore di fatto delle fallite anche quando non aveva più cariche sociali.

Sempre Di Placido prosegue descrivendo ai magistrati alcune modalità operative: “Tutti i poteri erano accentrati nella persona di Vittorio Casale, seppur formalmente io risultassi amministratrice delegata o muniti di delega alla firma dei contratti in quanto Casale non intendeva mai andare presso il notaio perché non gli piacevano le attese. Personalmente avrò firmato circa 350 atti […]. Le stesse modalità riguardavano le procure rilasciate a Vizzari”.

Per la difesa non c’è stato di insolvenza. I difensori di Vittorio Casale hanno prodotto quattro faldoni, uno per ciascuno delle società fallite. Memorie redatte dall’avvocato Meliadò, civilista incaricato di seguire le procedure concorsuali da parte di Casale e indirizzate ai curatori.

Lo scorso 26 maggio, ad esempio, la difesa ha depositato una memoria difensiva e una consulenza tecnica nella quale spiegava che al momento della dismissione dalla carica di amministratore unico di Casale non c’erano i “presupposti di un eventuale stato di insolvenza delle società”. Aggiungendo che “il primo atto con il quale l’amministrazione finanziaria aveva proceduto alla richiesta bonaria di pagamento risultava essere datato oltre nove mesi dopo la cessazione della carica”.

I difensori avrebbero inoltre quantificato il prezzo complessivo della cessione delle quattro società in 10.133.900 euro, “corrispondente alla somma delle passività delle quattro società cedute”. Passività che poi la nuova proprietà “avrebbe dovuto ripianare con mezzi proprio o con gli utili delle future operazioni immobiliari”. Infine la difesa di Casale preannunciava la volontà di “cooperare con tutti gli organi della procedura al fine di trovare una soluzione che permetta l’accordo bonario con tutti i creditori”.

Ma i magistrati scrivono esplicitamente che queste difese “in ragione della loro inconsistenza” non fanno altro che confermare l’accusa. Per gli inquirenti è infatti infondata l’affermazione sull’insussistenza dello stato di insolvenza delle quattro società, poi “dichiarate fallite all’atto della dismissione della qualifica di amministratore delegato” di Casale. Ritengono poi incongruente l’elevato prezzo di cessione delle società, a fronte di “un beneficio costituito dal mero valore di avviamento di società peraltro gravemente indebitate”.

Il debito poi, dalle indagini e dalle relazioni dei curatori fallimentari, emerge nel corso dell’anno 2005, durante la gestione Casale. Debiti che la società non ha provveduto ad estinguere. L’avvocato Monica Bellani ad esempio, curatore della Operae Partners, il 24 maggio davanti al pm, avrebbe detto che “gli ultimi bilanci sono del tutto inattendibili in quanto influenzati da valori di partecipazioni difficilmente giustificabili”.

Il pericolo di fuga. I magistrati ritengono che almeno nel caso di Bonatti una possibile fuga sia “dimostrata” da una serie di circostanze. Innanzitutto l’aver cercato di schivare la notifica delle istanze di fallimento quando gli vennero notificate a Piacenza e i buoni contatti su cui può contare in Svizzera.

Ma c’è anche un’intercettazione del marzo 2011 in cui Bonatti dice, conversando con una persona prossima alla partenza per il Sudafrica, di non farcela a partire a sua volta. Ma aggiunge: “Sto concludendo però… Quelle vicende per cui riesco probabilmente a trovarmi con la lira”. Chiede inoltre se il suo interlocutore sappia di attività all’estero da rilevare. “Saremmo due o tre che vorremmo far baracca e burattini… Per andar giù con un’idea… Ma anche turistiche… Un bar sulla spiaggia, un ristorante, un alberghetto, un distributore di benzina…

Antonella Beccaria e Nicola Lillo

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