Quattro bancarotte e un’evasione fiscale monstre per una decina di milioni di euro. Il tutto condito da una girandola di operazioni finanziarie che sono servite a svuotare l’attivo di alcune società per poi cederle, una volta decotte, a un prestanome. Sono queste le accuse che ieri hanno portato in carcere Vittorio Casale, 51 anni, un nome di primo piano del mondo degli affari, protagonista negli anni scorsi di decine di fortunate operazioni immobiliari con partner di rilievo come Unipol, Pirelli e Italease. Con Casale sono finiti agli arresti anche il suo braccio destro Francesco Vizzari e il loro presunto complice Gian Guido Bonatti. L’ordine di custodia è stato emesso dal gip milanese Fabrizio D’Arcangelo su richiesta dei pm Luigi Orsi e Gaetano Ruta al termine di un’inchiesta scattata dopo una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate per via delle imposte non pagate.
L’intervento della magistratura rischia di dare il colpo di grazia al gruppo immobiliare di Casale riunito sotto le holding Operae e Immofinanziaria. Un gruppo che vantava attività per oltre 2 miliardi euro, ma da tempo era in grave difficoltà a causa del pesante indebitamento con il sistema bancario. Secondo l’analisi della Guardia di Finanza, citata nell’ordinanza di custodia, le due holding “versano in uno stato di sostanziale insolvenza”, così come altre società del gruppo. Nel tentativo di evitare il crack, da mesi Casale aveva aperto negoziati con gli istituti di credito. Tra i più esposti c’è Unicredit, ma prestiti importanti fanno capo anche ai gruppi Unipol e Intesa. Grossi guai anche col Fisco, ma il patron di Operae ostentava sicurezza. Tra i suoi consulenti, secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta, Casale poteva contare anche sullo studio Picardi Romagnoli Vitali, ovvero gli ex soci del ministro Giulio Tremonti. “Nell’arco di un mese li metto a posto”, diceva (intercettato) al telefono l’immobiliarista riferendosi a un’esposizione di 70 milioni nei confronti di Equitalia.
Debiti, perdite, problemi con il Fisco: è questa l’eredità di anni di crescita a passo di carica. Massone dichiarato, Casale si è guadagnato l’etichetta di “immobiliarista rosso” per via dei suoi rapporti con il mondo della finanza cooperativa e in particolare con l’Unipol ai tempi di Giovanni Consorte. In realtà contatti e conoscenze ne facevano un battitore libero, forte di agganci importanti soprattutto nel mondo bancario. Grazie a questi legami e a una straordinaria abilità nelle trattative, spesso condotte su più tavoli, Casale era riuscito a conquistarsi un posto al sole negli anni ruggenti del boom immobiliare. A quell’epoca, tra il 2001 e il 2007, complici i bassi tassi d’interesse e la generosità interessata di molti banchieri, una pattuglia di fortunati speculatori ha fatto soldi a palate comprando e rivendendo immobili in una sorta di giostra impazzita. Erano i tempi dei furbetti Stefano Ricucci e Danilo Coppola. A partire dal 2008 il crack globale della finanza e lo sboom del mercato immobiliare hanno prosciugato il lago in cui per anni hanno sguazzato allegramente i campioni del trading.
Anche Casale è stato costretto a fare marcia indietro. O almeno ci ha provato. Ma sul mercato restavano solo i venditori, mentre le pressioni dei banchieri si facevano sempre più insistenti. Come uscirne? Le carte dell’inchiesta di Milano raccontano la gestione allegra ai tempi del boom e poi i salti mortali di un imprenditore con l’acqua alla gola. Un caso su tutti, quello della Operae Parlamento, società creata da Casale per rilevare un palazzo a Roma in piazza del Parlamento messo in vendita dal gruppo Pirelli Real estate. L’affare viene concluso ad ottobre 2004 al prezzo di 60 milioni. Sette mesi dopo (aprile 2005) lo stesso immobile viene rivenduto per 87 milioni a Banca Italease. Un affare fortunato, a dir poco. I 27 milioni di profitti però servono a finanziare “costi per servizi” per 16,9 milioni. “Il motivo di questi pagamenti è più che sospetto”, annota il gip D’Arcangelo. In parte è la stessa holding Operae a passare all’incasso, in altri casi vengono emesse fatture da società che non risulta abbiamo compiuto alcuna prestazione. Sta di fatto che negli anni successivi la Operae Parlamento viene spogliata di gran parte dell’attivo e a fine 2008 viene ceduta alla Skt, controllata da Gian Guido Bonatti, anche lui, come detto, arrestato ieri. Nel bilancio della società ceduta restano debiti con l’Erario per oltre 7 milioni di euro. Tempo due anni e arriva la bancarotta. Comincia l’inchiesta che porterà in carcere Casale.
Da Il Fatto Quotidiano del 15 giugno 2011