Così il Senatur ha risposto a una domanda dei cronisti sulla tenuta del governo. Un modo, invece, per far capire ai giornalisti di non voler parlare, secondo il suo ufficio stampa. Ma il leader della Lega non è nuovo a dichiarazioni extra linguistiche, sulla politica e non solo
Dopo le “sberle” elettorali, alle amministrative e ai referendum, il leader della Lega si chiude nel silenzio. Rilascia sempre meno dichiarazioni, sempre più spesso ricorre ai monosillabi, adesso ha cominciato a esprimersi solo a gesti. Niente a che vedere con le sue colorite e ormai note pernacchie: sostitutive delle parole, perché con un valore aggiunto in sé. Stavolta Umberto Bossi si è limitato a un pollice verso. Mandando nel panico i giornalisti, tutti a chiedersi: “Ce l’ha con noi o era un commento?”. Per rimediare all’ambiguità del Senatur, è stato necessario l’intervento dell’ufficio stampa del Carroccio.
Breve la scenetta. Bossi esce da Montecitorio e si avvicina alla sua auto per raggiungere il Consiglio dei ministri. Un gruppo di giornalisti lo placca. Lui fa capire di non voler rilasciare dichiarazioni – com’è ormai abitudine da quando le cose con gli alleati non vanno più tanto bene -, ma loro insistono. “Il governo va avanti?” chiedono i cronisti. Bossi prima si infila in macchina, poi ci ripensa: mostra un pollice rivolto verso il basso e si allontana. Tra i giornalisti è subito giallo. A cosa si riferiva quel gesto del Senatur?, si chiedono. C’è chi ipotizza uno scoop: la maggioranza non tiene. E chi smorza: non voleva parlare, sarà stato un modo per mandare i cronisti a quel Paese. Ed è quest’ultima l’interpretazione corretta, secondo i sottotitoli offerti dal portavoce del Carroccio. Eppure a sciogliere il mistero non ha aiutato la dichiarazione del ministro leghista Roberto Maroni durante la conferenza stampa dopo il Cdm, insieme al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Alla domanda dei giornalisti sulla tenuta della maggioranza, il titolare dell’Interno risponde: “Vi rimando a Pontida”. Poi mette una mano sul braccio del premier e aggiunge: “Berlusconi ascolterà attentamente…”.
Ma a Bossi esprimersi a gesti non è mai dispiaciuto. Va sempre più allungandosi la lista di personaggi del mondo della politica, della cultura o dell’imprenditoria che possono fregiarsi del titolo di ‘spernacchiati’ dal Senatur. Primo in classifica è il leader di Fli, Gianfranco Fini, raggiunto per due volte dalle pernacchie del numero uno del Carroccio. La prima è stata a settembre del 2010. Alla vigilia del voto di fiducia sui cinque punti programmatici del governo, Fini continua a ripetere di non avere intenzione di dimettersi da presidente della Camera. Un giornalista chiede a Bossi un commento e lui risponde a suoni. Così come a gennaio di quest’anno, in risposta alla richiesta di Fli di prorogare di sei mesi l’emanazione del decreto legislativo sul federalismo municipale. Ancora a fine 2010, altre due pernacchie, ma stavolta extra-parlamentari. Una rivolta alla possibilità, paventata dal vicepresidente di Fli Italo Bocchino, di vedere l’imprenditore Luca Cordero di Montezemolo come nuovo leader del centrodestra. L’altra per lo scrittore Roberto Saviano e le sue affermazioni sulla presenza della ‘ndrangheta al Nord.