Ha ragione il ministro per i Beni Culturali (già esperto di Politiche Agricole) Giancarlo Galan, a non entusiasmarsi davanti ai vertici Lega-Tremonti: “Non mi stupisco assolutamente”, dice “che Tremonti vada a cena con la Lega. Mi stupirei si sedesse al tavolo con il Pdl”. Galan interpreta a meraviglia il Berlusconi pensiero degli ultimi sei mesi che, se potesse, di Tremonti se ne sbarazzerebbe al volo.
In realtà la cena di ieri sera è stata quella che ormai può essere definita come una riunione di partito, dove in genere si esprimono il Bossi e il Tremonti pensiero. E dove si decide la linea del Carroccio. Ieri l’argomento principale tra i commensali era ovviamente la crisi di un governo a orologeria, pronto a esplodere da un momento all’altro. Sul piatto però anche le preoccupazioni dei leghisti (quelli tesserati, per intendersi) per il possibile aumento dell’Iva che vorrebbe dire per la Lega un colpo difficile, quasi impossibile, da incassare. La risposta di Tremonti è stata chiara: “Ragazzi, io più di questo non posso fare”. Successivamente è stato deciso che a Pontida parlerà solo Bossi. E anche in questa decisione c’è lo zampino di Tremonti.
Tutto questo mal digerito da Berlusconi che al banchetto non era tra gli invitati. Lui, Silvio tace, ma ci pensa Galan Giancarlo, classe 1956 da Padova, a parlare. D’altronde, sull’argomento è preparato: non solo perché è veneto e la Lega se l’è vista crescere in casa fino a strappargli da sotto al sedere la poltrona di governatore della Regione, ma anche perché aveva coltivato un buon rapporto col ministrone dell’economia, Giulio Tremonti, già in tempi non sospetti, anno 1996.
Giulietto, come lo chiamano gli amici per via di quel fisico che non fa di lui un colosso, possiede da sempre una bella casa a Lorenzago di Cadore, terra d’origine dei suoi genitori, dove trascorre tutta l’estate. La sua villa Certosa, senza ballerine, ma frequentatissima dalle camicie verdi. E a Lorenzago ha iniziato la sua carriera politica come consigliere comunale, in quota Psi. Partito dal basso, ma già con grandi aspirazioni, visto che nel frattempo faceva il tributarista a Milano con clienti di tutto rispetto.
Socialista, poi tra le braccia di Mariotto Segni, infine in Forza Italia. Un forzista d’apparenza, visto che il suo partito vero è la Lega – come spiega Galan – e l’unico referente Umberto Bossi. E se vogliamo dare un inizio alla militanza nella Lega di Giulietto bisogna tornare all’anno di disgrazia (per lui, visto che vinse Prodi). E in quell’aprile che Tremonti capisce l’importanza di essere leghista. Il primo governo Berlusconi era appena caduto e Tremonti aveva già fatto, seppur per un breve periodo, il ministro delle Finanze.
Ovvio che anche in quell’anno sia candidato. E dove se non nella circoscrizione di Belluno? Lì, in quella che allora era la provincia più leghista d’Italia, Tremonti farà tutta la campagna elettorale, accompagnato da un giovane Michele Bortoluzzi, astro emergente, poi trombato, dell’allora Forza Italia che in Veneto era guidata saldamente da Giancarlo Galan, appunto.
Tremonti è sicurissimo di farcela. Ha appena lasciato un ministero, in precedenza era nelle grazie craxiane attraverso De Michelis, e prima ancora è stato uno dei più importanti editorialisti di economia del Corriere della Sera in epoca Piero Ostellino. Curriculum già da guru.
Si candida, fa campagna elettorale, ma a Belluno e Feltre viene malamente straziato: passano Donato Manfroi, senatore uscente della Lega poi espulso, Paolo Bampo (anche lui cacciato dalla Lega) e un commerciante di nome Fabio Calzavara, licenza media inferiore. Tremonti entrò in parlamento solo perché aveva preteso un seggio paracadute a Venezia.
Da allora i suoi rapporti con Bossi diventano più che solidi. Tremonti inizia quel gioco che continua ancora oggi: occupo una stanza, ma in realtà sono proprietario di un’altra. Gioco al limite del perverso, ma in tutti questi anni sarà quello che riuscirà a mediare, nelle fasi più difficili nei rapporti tra Lega e Berlusconi.
Cosa che sta facendo anche in questi giorni. Ma l’esito non è scontato. Tremonti non vuole che la Lega stacchi la spina al governo Berlusconi, sa che sarebbe la fine e cerca di arginare Bossi e i suoi che domenica saranno a Pontida a dare spiegazioni del loro tracollo.
Così ieri sono andati a cena, il gruppo dei leghisti allargato al loro più importante referente, cioè il ministro delle Finanze Tremonti. Quartiere Parioli, nella Roma che sarà “ladrona”, ma dove evidentemente si mangia bene. Al tavolo il capo, Umberto Bossi, arrivato nella capitale in aereo insieme a Berlusconi, Tremonti, Roberto Maroni, Roberto Calderoli, i capigruppo di Camera e Senato, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo. Una cena di partito, in pratica. “Tutto bene”, ha detto Bossi lasciando il ristorante. E alla domanda se durante la cena avessero parlato della riforma fiscale, ha risposto: “No, della promozione del Novara”.
Di cosa abbiano parlato non lo sappiamo con certezza. Non ancora. Sicuramente c’era da far riappacificare Maroni e Tremonti, galli dello stesso pollaio che ogni tanto se ne dicono a distanza. Ma soprattutto c’era da capire cosa fare con un governo Berlusconi che cade a pezzi dopo due tranvate, elezioni amministrative e referendum.
Insomma, Tremonti decide cosa è meglio per la Lega. Cosa il partito deve fare. E allora perché sta nel Pdl? “Fa parte del gioco”, dice chi i meccanismi della Lega li conosce bene. Fa parte del gioco. E se qualcuno nutrisse dubbi, basta leggere quello che dice appunto Galan: “La cena di Tremonti ieri sera con Bossi? Non ne penso niente, è la centesima, sarebbe stata una notizia se Tremonti fosse andato a cena con qualcuno del Pdl. La cena di ieri sera non mi sembra nulla di nuovo, Tremonti passa le vacanze con la Lega, va a cena con la Lega, partecipa ai convegni della Lega, presenta la candidatura a sindaco di Bologna con la Lega, festeggia l’indicazione del mio successore come presidente della regione Veneto con la Lega. Non c’è bisogno che passi alla Lega”.