“L’universo è nucleare”. Non è d’accordo con i 27 milioni di italiani che hanno bocciato le centrali allo scorso referendum il professore Umberto Veronesi. Oncologo, ma anche a capo dell’Agenzia per la sicurezza nucleare italiana. “E’ davvero un peccato aver scelto di non sfruttare l’atomo – dice – e le sue potenzialità”. Da medico ed ex ministro della Sanità, Veronesi non può non basare la sua opinione sulla salute dei cittadini. E così spiega: “In realtà la mortalità a Chernobyl è stata minima e a Fukushima sono morte due persone”. E’ stata quindi “una forte reazione emotiva” – provocata proprio dalla crisi nucleare giapponese – a portare la gran parte degli italiani a rifiutare l’energia prodotta dall’atomo.
Un eccessivo allarmismo che colpisce gli italiani in più occasioni, sembra essere la teoria dell’oncologo. Che cita la vicenda del poligono di Quirra, in Sardegna, in cui i tassi di mortalità sono più alti del normale e gli abitanti sono rimasti impressionati dal caso di un agnello nato con due teste. Dove la Procura e gli scienziati stanno tentando di capire se effettivamente ci sia un nesso di causalità tra uranio impoverito, attività militari e morti sospette. “Anche se l’uranio fa paura – aggiunge Veronesi -, non è pericoloso. L’abbiamo tutti addosso e dentro di noi, è uno degli elementi più diffusi in natura ed è debolmente radioattivo”.
Eppure – nonostante gli appelli alla calma lanciati da personalità come il professore Veronesi – in Giappone è lo stesso governo a non essere convinto. Non tanto per la mortalità attuale, quanto più per i rischi futuri del materiale contaminato. Tanto da aver disposto oggi un vasto monitoraggio sulle radiazioni a Tokyo, 240 chilometri a sud-ovest dell’impianto di Fukushima Daiichi. La centrale danneggiata dal terremoto e dal conseguente tsunami dello scorso marzo. Le autorità nipponiche hanno inviato funzionari nei parchi, nelle scuole e in altri luoghi sensibili della città, per un totale di cento posti da analizzare. L’obiettivo è quello di rassicurare gli oltre 13 milioni di cittadini riguardo alle conseguenze delle perdite – ancora non del tutto risolte – dallo stabilimento atomico.
“Ce l’hanno chiesto le madri preoccupate per la sicurezza dei loro bambini – ha spiegato un funzionario del governo di Tokyo -. Inoltre la gente vuole sapere quale sia il livello di radiazioni nella zona in cui vive”. Anche in Giappone, quindi, ci si preoccupa, soprattutto dopo che agli abitanti è stato detto di non dare da bere ai bambini l’acqua del rubinetto, potenzialmente inquinata. Un allarme poi rientrato, ma che è stato sostituito dalle tracce di sostanze nocive oltre la soglia fissata per legge rintracciate in alcuni prodotti agricoli, come le foglie del tè, provenienti da zone molto più lontane da Fukushima.