Come temevano gli esperti, le chiazze marroni al largo della costa, ancorché “innocue” e non in grado di compromettere la balneazione, non sono un fenomeno casuale. “Si è riscontrata, in questi giorni, la presenza di macchie di colore scuro nelle acque marine prospicienti la zona sud della costa riminese. I controlli effettuati dalla struttura oceanografica Daphne di Arpa evidenziano che queste macchie sono determinate da una ‘Eutrofia microalgale in atto’, con prevalente presenza di diatomee, che altera il colore delle acque e provoca, nelle fasi di decomposizione, cattivo odore pur essendo innocue per la balneazione”, esordisce in una nota Arpa Emilia Romagna, sezione di Rimini.
Come si legge dal bollettino della stessa Daphne, cospicue quantità di acqua dolce, provenienti in particolare dal bacino padano, hanno ridotto la salinità delle acque marine e contribuito con i propri apporti eutrofici (fosforo e azoto), unitamente alle elevate temperature di questi giorni, a sviluppare la componente fitoplanctonica con elevato incremento di clorofilla di tipo “a”. Dunque, dal fiume Po le maxi portate di acque a seguito delle recenti e abbondanti precipitazioni (si parla di carichi di acqua dolce fino a tre mila metri cubi al secondo) hanno condotto fino all’Adriatico ingenti quantità di nitrati, fosfati e silicati in una stagione in cui le acque marine non godono di buona circolazione.
Di qui la fertilizzazione delle micro -alghe diatomee – invisibili ad occhio nudo ma in grado di emanare l’intenso odore marino tipico del fitoplancton- che sono cresciute fino a picchi di 100 milioni per litro d’acqua. Una volta sedimentati, questi vegetali hanno ‘divorato’ l’ossigeno nelle acque causando, come certificato alla fine di aprile, morie di pesci.
L’ossigeno disciolto, spiegano i tecnici di Arpa, presenta “valori in sovrasaturazione in superficie”, mentre in corrispondenza del fondale i livelli “tendono all’ipossia-anossia in diverse zone sia al nord che al sud”. Considerato che sono “in aumento la temperature lungo tutta la costa”, informa da parte sua l’ultimo bollettino del centro Daphne, la portata del fenomeno delle acque dolci dal Po viene confermata anche dalla presenza di “tronchi galleggianti” lungo la costa in particolare nelle aree centro-settentrionali.
Ma quando nel riminese l’anomalia “chiazze scure” rientrerà? “Non siamo veggenti, ma contiamo che entro una settimana circa tutto torni come prima”, risponde il direttore di Daphne, Attilio Rinaldi. Posto che “se si levasse un po’ di vento di scirocco non sarebbe male”, continua il professore augurandosi qualche movimento delle acque marine nei fondali e non, i test e i monitoraggi continuano spediti.
Da Cesenatico, la sede del centro Ricerche marine gestito da Rinaldi in armonia con Arpa, le squadre di esperti ogni settimana procedono ai rilevamenti: il martedì nella fetta di costa a nord di Cesenatico, il martedì a sud. Complessivamente, vengono monitorati 1.300 chilometri quadrati di mare. “Riusciamo a garantire test molto approfonditi: i risultati continuano a confermarci che per la salute non ci sono pericoli. Dunque, la balneazione è e resta libera in tutta la costa”, scandisce l’esperto. Del resto, appena un paio di settimane fa tutte le 96 aree balneabili della costa emiliano-romagnola hanno ottenuto la bandierina blu, la certificazione sulla qualità “eccellente” delle acque stabilita sulla base dei parametri microbiologici conformi alla direttiva comunitaria sulla balneazione: le analisi specifiche compiute da Arpa Emilia Romagna nell’ultima settimana di maggio, dal lido di Volano nel ferrarese alla stessa Cattolica, hanno prospettato ufficialmente una stagione balneare in grado di poter offrire ai turisti la certezza di poter nuotare in acque prive di inquinanti d’origine organica, come Escherichia coli ed Enterococchi intestinali.
Certo che il clamore suscitato attorno a queste macchie scure continua ad incuriosire non poco e a tenere banco tra gli ambientalisti (fu Legambiente a denunciare pubblicamente il caso di fine aprile, senz’altro più anomalo per il periodo in cui si è verificato).
“Ogni anno abbiamo avuto a che fare con fenomeni di questo genere: nessuna sorpresa se si verificano in estate inoltrata o in autunno, quando le temperature del mare sono più alte, e comunque a ridosso del Delta del Po, al massimo fino al confine tra le provincie di Ferrara e di Ravenna. Un caso come quello di due mesi fa, nel riminese e in primavera, in effetti non ci capitava da almeno trent’anni”, continua Rinaldi. L’occasione è buona, allora, per richiamare chi di dovere non solo alle direttive europee sui nitrati, ma anche al rispetto del piano nazionale di risanamento contro l’eutrofizzazione. Se l’Emilia Romagna lo ha adottato, regioni-chiave per la salute delle acque del Po come Piemonte e Lombardia non lo rispettano: “Con l’eliminazione del fosforo dai detersivi- riepiloga Rinaldi- abbiamo tolto 10 mila tonnellate all’anno di fosforo dalle acque italiane, stiamo meglio rispetto agli anni ’70-‘80 ma bisogna proseguire. Tutti devono fare la propria parte. Basti pensare che Milano è una città depurata solo da 4-5 anni, o alla delicatezza delle grandi aree interessate alle coltivazioni agricole”.