“Libertà non è scegliere la compagnia del proprio telefonino” oppure “usa il tuo passato come trampolino e non come divano!”. E’ l’apoteosi della fantasia che si esprime nelle piazze della Spagna, in un 19 giugno tanto atteso per essere considerato una prova del nove per il movimento degli indignados. Un test passato superando le migliori aspettative: decine di migliaia di persone hanno occupato le strade di Madrid, Barcellona, dove nella città catalana oltre 50mila persone hanno sfilato, e poi Malaga, Granada, Palma, Valencia, Sevilla e tante altre città spagnole. Un fiume in piena di un movimento tanto fisico, che si esprime con la forza delle parole e della partecipazione. “Essere presenti con la propria capacità critica è il nodo centrale di questo nuovo corso – dice Joan dalla Puerta del Sol di Madrid – non vogliamo ricadere nei vecchi schemi delle proteste. Abbiamo una luce nuova che ci unisce ”. Al centro della protesta i politici accusati di non accogliere le istanze dei cittadini. In primis il grido di chi chiede posti di lavoro, perché la disoccupazione in Spagna ha toccato un tasso di oltre il 21 per cento.
Indignazione per la disoccupazione, espressa in modo “colorato”, dando spazio alla creatività. Ciascun manifestante la esprime con scritte su cartelli, magliette variopinte oppure con il body painting sul volto e sul proprio corpo con l’esigenza che spinge a lasciare il proprio quotidiano per privilegiare la piazza.
Perché se una parola d’ordine il movimento l’ha data è sicuramente: “Partecipazione”, oltre il “No alla violenza”. Nelle manifestazioni di questa domenica, quindi, ciascun manifestante ha portato anche un proprio pensiero: “Siamo figli della comodità, ma non saremo padri del conformismo” si legge su un cartellone scritto a mano. “Mi sono appropriato di una frase: non percorreremo il cammino che altri hanno già tracciato, partiremo da dove si erano fermati”, quest’ultima frase, composta da Emilio, della Commissione diversità di Plaza Catalunya di Barcellona, è il risultato di un dibattito notturno: “Ho passato ore a discutere con la mia famiglia– aggiunge il ragazzo – all’inizio non capivano. Sono disoccupato e ho cercato di far comprendere loro la mia battaglia per la dignità. Oggi – conclude – la mia famiglia è venuta con me. Il cartellone l’ho scritto con mia madre”.
Il movimento 15-M ha concentrato tutte le forze di queste ultime settimane nell’iniziativa contro il Patto dell’euro, il piano di misure che il Parlamento Europeo approverà il prossimo 27 giugno. Sottoscritto dai 17 capi di Stato e di governo dell’eurozona, il patto si prefigge di risolvere la crisi economica e favorire la competitività dell’area, introducendo nuove misure che graveranno sui cittadini dei paesi in crisi.
Tra questi: tagli ai servizi sociali, flessibilità e perdita dei diritti. “Non vogliamo pagare per le responsabilità delle banche – dice un’anziana signora catalana – per questo ho raggiunto questi ragazzi. Hanno capito molto prima di noi dove i politici ci stanno portando. Io per la prima volta mi sento cittadina”. Ed è in questo strano miscuglio di magie tra nuove e vecchie generazioni che si ritrovano gli indignados scesi in strada. Uniti da un’urgenza per salvare il proprio futuro di fronte a un panorama politico che resta cupo: “La corruzione è come la paella, in nessun posto è buona come a Valencia” si legge su un cartello che si riferisce ai vertici corrotti del PP, ma premiati alle ultime elezioni dello scorso maggio.
“Y ahora que? (Cosa faremo?) – dicono da Plaza Catalunya – non c’è fretta. Per costruire un sistema hanno impiegato tanto tempo. Prendiamoci il nostro tempo per offrire l’alternativa”.
La tensione dell’intero movimento, dopo gli incidenti dello scorso 15 giugno a Barcellona, sembra essere scemata. Le accuse di violenza avevano fatto crescere delle ombre, che sono svanite quando, come a Madrid e nelle altre città, per confluire al concentramento, i cortei sono arrivati dai barrios in cortei singoli. Ad ogni incrocio tra due manifestazioni l’emozione ha fatto scattare gli applausi. “Siamo tantissimi. Ovunque. E’ stata giusta la scelta di lasciare le occupazioni – mi spiega Irene, studentessa – nei quartieri stiamo seminando nuovi fiori”.
di Cristina Artoni