La Grecia dovrà trattenere il fiato fino a metà luglio. E’ slittata nella notte la decisione dell’Eurogruppo sull’erogazione della quinta tranche di prestiti da 12 miliardi di euro da parte di Ue ed Fmi. I ministri dell’Economia, dopo sette ore di riunione, hanno deciso all’aba che l’approvazione avverrà solo dopo che il governo greco avrà dimostrato “in modo credibile” di saper mantenere gli impegni presi, approvando le misure di risanamento presentate dal primo ministro George Papandreou, ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. I ministri riuniti a Lussemburgo hanno deciso di attendete “il voto finale sul programma” concordato con Ue, Bce e Fmi. Una fonte del ministero delle Finanze greco ha comunque fatto sapere che Atene è “fiduciosa sull’approvazione da parte del Parlamento entro il 28 giugno” e “non prevede problemi”. Mentre per domani è atteso il difficile voto sulla fiducia al nuovo esecutivo di unità nazionale proposto da Papandreou.
“Abbiamo bisogno di una chiara decisione del Parlamento greco”, ha spiegato il ministro delle finanze belga, Didier Reynders, al termine del lungo negoziato a Lussemburgo. Dove si è lanciato anche un appello a “tutte le parti politiche” affinché sostengano le misure di austerity necessarie, nonostante le proteste dei cittadini. “Devono sostenere i principali obiettivi del programma – si legge in una nota diffusa dall’Eurogruppo – e le misure politiche chiave per assicurare una sua rigorosa e veloce attuazione”. Nel comunicato finale i ministri si impegnano anche a concordare un secondo piano di salvataggio per la Grecia – dopo quello iniziale da 110 miliardi di euro varato il maggio scorso – che includerà anche il coinvolgimento di investitori privati per il rifinanziamento del debito greco a partire dal 2012. Il nuovi piano di aiuti dovrebbe oscillare tra i 90 e i 120 miliardi di euro. I ministri dell’Eurozona – si legge nella nota – “accolgono favorevolmente” un coinvolgimento dei privati nel nuovo programma, ma ancora nessuna decisione è stata presa sulle modalità del loro intervento, dopo le perplessità espresse dallo stesso presidente Juncker e i negoziati tra Germania e Francia.