Partiamo da un evento che in molti ricorderanno. Era l’estate 2009 e una marea di liquami inondava tutto il litorale domizio-flegreo causando un disastro ambientale di proporzioni enormi. I lavoratori dell’impresa Hydrogest protestavano per i mancati stipendi ricevuti e la loro collera si tradusse in barbarie. Questa la versione ufficiale di un atto vile, che usava un linguaggio fin troppo prossimo a quello camorristico: il linguaggio della minaccia, della paura. Al ritardo nei pagamenti si rispondeva con un ultimatum, dal sapore “stragista” che metteva a repentaglio l’intera costa partenopea di per sé già martoriata.

Qualche settimana fa arriva l’ingiunzione del Tribunale di Napoli che obbliga la Regione Campania a pagare ad Hydrogest la somma di 84,6 milioni di euro. La controversia dal punto di vista contrattuale è semplice: Hydrogest chiede che siano rispettati i termini della convenzione stipulata con il Commisario di Governo che garantiva alla società gli utili per un primo periodo. In breve Hydrogest si impegnava a gestire e adeguare gli impianti di depurazione ed il Commissario (dal 2008 la Regione) a provvedere alla stipula degli accordi con le reti idriche.

Qualora la Regione Campania non avesse sottoscritto le convenzioni con i gestori, sarebbe stata lei stessa a pagare dal 70 all’80%  del “volume minimo di incassi”. Un project financing che, si fosse avviato o meno un virtuoso ciclo del servizio idrico integrato (acquedotto, fognature, depurazione), avrebbe visto comunque le tasche di Hydrogest incassare gli utili. La società inoltre è stata accusata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere di disastro ambientale proprio per il mancato funzionamento dei depuratori da lei stessa gestiti.

Ma chi sono queste persone a cui è stato messo tra le mani un settore così importante dell’economia regionale? E chi dovrebbe vigilare su di esse?

Hydrogest è costituita al 90% da Termomeccanica e al 10% da Giustino costruzioni. Cominciamo dal presidente di Hydrogest Enzo Papi. Alla ribalta durante Tangentopoli, arrestato dall’allora pm Di Pietro, descrisse il vasto sistema di pagamenti ai partiti da parte delle principali imprese italiane, confessando di aver consegnato a Maurizio Prada, presidente dell’Atm e segretario reggente della Dc milanese, “intorno al miliardo e ottocento milioni per questioni relative alla costruzione del passante ferroviario”. Le sue doti lo portano a bruciare le tappe e ad essere oggi uno dei manager più importanti d’Italia: presidente di Confidustria a La Spezia, ha vinto attraverso la sua società Termomeccanica Ecologia Spa, l’appalto per la costruzione di un inceneritore a Torino.

La Giustino Costruzioni, invece, detentrice dell’altro 10%, la troviamo in prima fila nel dopo sisma del 1980 in Irpinia e protagonista nei maxi lavori – di metà anni ‘80 – per la realizzazione della arcimiliardaria terza corsia Roma-Napoli, dove a far man bassa dei subappalti sono le cosche del casertano (i casalesi alle loro prime performance).

A vigilare sulla società è la Commissione Regionale di Inchiesta Hydrogest, il cui presidente è stato tirato in ballo da alcuni elementi del clan Bidognetti. Il vigilante e il vigilato si sfiorano senza mai toccarsi. E il linguaggio mafioso diventa esperanto, codice perfetto per mafia, imprenditoria e politica, che smettono allora di parlarsi per sedersi tutti intorno allo stesso tavolo e poi riversare, nella terra e nel mare, i resti e gli escrementi delle loro abboffate.

di Giovanni Sorrentino, Inchiestanapoli.it
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