Tanto per intenderci, Gilberto Oneto è uno che quando detta il suo indirizzo mail non pronuncia il suffisso “it”. Al massimo lo sostituisce con itterizia. Si è iscritto alla Lega di Bossi nel 1986 e ha rinnovato la tessera fino al 2006. Architetto, giornalista è studioso dell’autonomismo delle regioni padano-alpine. Nel 1996 viene nominato responsabile dell’identità culturale nel “Governo della Padania”. Per anni – prima di entrare in polemica con la dirigenza leghista – ha tenuto rubriche settimanali di storia identitaria sul quotidiano La Padania e su Radio Padania Libera. Per Libero ha praticamente riscritto la storia del Risorgimento in salsa leghista. Amico e collaboratore di Gianfranco Miglio, Oneto conosce la Lega da dentro.

All’Infedele di Lerner lei ha confermato che tra Lega Nord e Berlusconi esiste un patto firmato da un notaio in virtù del quale i dirigenti del Carroccio non potranno mai ribellarsi al Cavaliere.
Un fatto risaputo da tutti nel partito e scritto anche in diversi libri (il primo fu Leonardo Facco nel suo Umberto Magno, ndr). Quel patto esiste. Un accordo tra due persone (Bossi e Berlusconi, ndr), che quindi non ha la valenza legale ma poco importa. Quel pezzo di carta per Bossi è un patto d’onore che verrà rispettato fino alla morte.

Quanto è costato l’accordo?
A Berlusconi, sembrerebbe, i soldi per saldare i debiti della Lega e per cancellare centinaia di querele che pendevano sul quotidiano di via Bellerio (che al tempo titolava: “Berlusconi, sei un mafioso? Rispondi”, mettendo in prima pagina le foto di Riina, Brusca, Bagarella, Berlusconi e Dell’Utri ndr). A Bossi costa accettare e farsi andare bene le scelte più immonde.

Come quando nel ’98 alla Camera dei deputati la Lega Nord votò contro la richiesta di arresto di Cesare Previti, uomo di fiducia di Berlusconi?
In qualche modo fu l’anno della svolta per la Lega che smise i panni di movimento per indossare la cravatta d’ordinanza di un partito che di “sì” in “sì” ha addirittura accettato la guerra in Libia, contravvenendo persino all’articolo 11 della Costituzione. Argomento questo che peraltro mi sembra abbia avuto poco peso anche per lo stesso presidente della Repubblica, che sulla vicenda non ha mosso un dito. Ma tornando alla missione in Libia che senso ha andare a Pontida proclamando che ora bisogna ritirarsi? La dichiarazione di guerra non l’ha fatta certo Harry Potter e i leghisti di Roma dove se ne stavano? Ora si sono inventati la trovata della guerra a tempo…

Del raduno di domenica cosa rimane?
Un Bossi che cerca di fare il punto su una situazione difficile in cui si è cacciato da solo. Per la prima volta in 20 anni il popolo ha interrotto il discorso del Capo – mai accaduto prima – urlando se-ces-sione. Poi quel tentativo, quasi vano, di ufficializzare il passaggio di testimone a Roberto Maroni.

Perché quasi vano?
Perché faranno di tutto per non permetterglielo.

Chi?
Quelli della “banda del buco” che generalmente i giornali definiscono come quelli del “cerchio magico” fatto dalla moglie (assente a Pontida, ndr) all’ interno del quale stanno, come dei figuranti, i vari Francesco Belsito (tesoriere della Lega), Marco Reguzzoni, Federico Bricolo e Rosi Mauro. Bossi di tanto in tanto cerca di sfuggire a quella presa mortale perché si è reso conto che è arrivato il momento delle consegne. Sono convinto che proprio nel discorso di Pontida, quando ha parlato dei 15 anni di politica, abbia cercato di farlo capire anche a Berlusconi.

Quindi cosa accadrà?
Bossi pensa che Roberto Maroni sia l’uomo giusto, anche se non sarà mai un leader semplicemente perché non ne ha le caratteristiche. In fondo Maroni è uno che preferisce stare tranquillo, ma è l’unico che può evitare lo sfacelo della Lega. Un’altra ipotesi è che a Maroni venga almeno concesso di fare da traghettatore verso i diversi appuntamenti congressuali dove si scanneranno gli uni con gli altri. Alla fine vincerà il migliore magari proprio riuscendo a fare fuori i vari “leccachiappe e cadregari”.

E poi?
Poi sarà ora che anche gli altri partiti si sveglino, compresa la sinistra. Il futuro è nelle Leghe quelle che, però, a Roma non ci vanno. Parlo di identità autonome siano esse liberali, ma anche cattoliche. Mi chiedo: che fine hanno fatto le proposte autonomiste di Cacciari e Chiamparino che sembrano rientrati nella dimensione monolitica di un partito unico. A lei sembra che in Catalogna stiano forse male? Io penso che l’autonomia farebbe bene a tutti. E guardi che in fondo i militanti della Lega sono arrabbiati perché chi è andato a Roma si è dimenticato quello che sta scritto nello statuto della Lega.

Cioè?
L’indipendenza della Padania.

Secessione?
No, quello è uno strumento e non il fine. Io parlo di autodeterminazione che, come diceva Gianfranco Miglio, significa libera scelta di stare con chi si vuole e con chi ci vuole. Quello è l’unico vero obiettivo. Poi però mi chiedo come sia possibile definirsi indipendentisti e contemporaneamente fare il ministro “di Polizia” dello Stato italiano.

da Il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2011

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