A poco più di una settimana dal referendum, Hera, la società per azioni a controllo pubblico che gestisce il servizio idrico in Emilia Romagna, da Modena a Rimini, aumenta le bollette dell’acqua di un ulteriore 3,5 per cento, a Bologna e nei 60 comuni della provincia. A seguire la stangata arriverà per tutti gli altri, città piccole o grandi che siano. Poco importa se dal voto è uscita una indicazione politica sulla richiesta di acqua pubblica, dunque un bene comune e non in vendita. Poco importa se l’Emilia Romagna è tra le regioni che hanno avuto massima affluenza alle urne.
Hera, i cui manager appartengono all’area politica del Partito democratico (e la posizione ambigua del Pd il fattoquotidiano.it l’aveva segnalata più volte), va avanti per la sua strada. Così quel 7 per cento sul capitale investito che la consultazione referendaria ha tolto, viene già recuperato. E a pagarlo sarebbero gli utenti sulle bollette. Da subito.
Il tutto avviene nel momento di vuoto legislativo. In sostanza col referendum è stata abrogata la legge che prevede alle aziende una remunerazione del 7 per cento dei capitali investiti. Legge abrogata, ma che resta valida fino a quando non il parlamento non ne voterà una nuova. Ma Hera, senza perdere tempo – e con l’appoggio dei sindaci che hanno fatto la campagna referendaria – incassa i frutti della vecchia legge ancora in vigore, più gli aumenti.
La legge arriverà, dunque è meglio preparare il paracadute, hanno detto Hera (e il Pd cui fa riferimento). Ma non si meraviglia nessuno, visto che il giorno successivo al referendum il Partito democratico stesso aveva già addolcito la sua scelta referendaria e aveva spiegato con un “vedremo” quello che si sarebbe fatto.
Il problema dell’aumento, spiega Hera, non è solo conseguenza del referendum, ma anche dell’indebitamento e dei consumi più bassi. Due fattori che hanno creato qualche problematica ai conti dell’azienda. Così le bollette sono state subito aumentate del 3,5 per cento. Aumento che bissa quello dello scorso aprile, arrivando così a una crescita delle tariffe di circa il 7 per cento su base annua.
Per Beatrice Draghetti, presidente della provincia di Bologna in quota Pd, “le attuali tariffe non coprono i costi riconosciuti al gestore (Hera) e ogni anno accumuliamo debiti”. La conseguenza opportuna non è altro che un aumento del 3,5 per cento della tariffa, quindi, per “fermare la divaricazione tra entrate e uscite”. Draghetti nella nota precisa che è “molto importante una riflessione pacata e approfondita: sul tavolo ci sono infatti questioni significative. Non ci spaventano le discussioni, ci preme un esito onesto e giusto, segno di buona amministrazione”.
Giovanni Favia, consigliere regionale del Movimento Cinque Stelle, lo dice senza giri di parole: “Queste aziende fanno il bello e il cattivo tempo. Presentano cifre come dicono loro, vanno contro quelli che sono stati i risultati di una consultazione popolare”. E poi, rivolgendosi alle amministrazioni locali: “Tutto ciò è frutto di incapacità e dilettantismo del centrosinistra. Così prendiamo solo il peggio del pubblico, che è lottizzato, e il peggio del privato, che fa utile sulle spalle dei cittadini”. Dopodiché fa una proposta: “Noi chiediamo lo scorporo del servizio idrico, l’acqua è un bene non economico. Se siamo noi i primi azionisti di quelle società pubbliche-private, allora dobbiamo essere noi a controllarle. Ma così non è”.
La coperta sembra quindi essere troppo corta. Da qualsiasi parte la si tiri qualcuno resta scontento, ma soprattutto è costretto a tirare fuori più denaro. Hera sembra comunque propensa a stralciare le attuali condizioni della convenzione e la remunerazione al 7 per cento. Ma finché il parlamento non approverà una nuova legge, l’unica soluzione per gli enti locali è passare al 5 per cento.
Ieri mattina l’ufficio di presidenza di Ato 5, l’autorità territoriale d’ambito di Bologna costituita dalla Provincia e dai suoi 60 Comuni che si occupa anche della gestione nei settori delle risorse idriche e dei rifiuti solidi urbani, avrebbe avanzato le proposte di aumento ai vertici di Hera. A prima vista sembrerebbero una vera stangata post-referendum. È infatti Ato che decide insieme con Hera eventuali aumenti di tariffe. Per questo Favia ha in mente, insieme al suo collega del M5s Andrea Defranceschi, di portare in Regione il prossimo settembre una proposta di legge che sostituisca e riformi le Ato. “La situazione – dicono Favia e Defranceschi – è nata dal fatto che, negli anni scorsi, a partire dal 2004, Hera ha fatto male i suoi conti, mettendo a bilancio preventivo un quantitativo di acqua che poi non è stato in realtà venduto. Quindi ora c’è un buco nel bilancio di circa 20 milioni di euro. E a pagare per gli errori dei suoi manager ora non possono essere ancora gli utenti. Pessima, fra l’altro, l’idea infantile di pararsi dietro la scusa dei danni apportati dalla vittoria dei sì ai referendum. Una menzogna insopportabile e vigliacca”.
Quello di Ato è, comunque, un modo per riuscire a trovare una soluzione dopo l’abolizione della remunerazione al 7 per cento del capitale investito. Le consultazioni referendarie hanno infatti cancellato a larghissima maggioranza quella norma. Ma resta comunque la possibilità per gli enti locali della copertura dei costi di gestione e finanziari degli investimenti. La percentuale dovrebbe essere del 5 per cento per gli impieghi a cui Hera ha dato inizio dopo il referendum, mentre per le opere precedenti continuerà sempre la remunerazione al 7 per cento. Per ora comunque rimane ancora tutto da decidere. Lunedì, infatti, si riunirà nuovamente l’ufficio di presidenza di Ato. Per ora gli aumenti sono congelati.
Anche Massimo Bugani, eletto nel consiglio comunale con il Movimento Cinque Stelle, è categorico: “L’acqua è un bene primario, è un servizio, non deve dare un profitto”. I ragazzi di Grillo presenteranno un ordine del giorno da portare in ufficio di presidenza in Comune con l’obiettivo di modificare lo Statuto comunale per l’acqua pubblica e togliere la gestione alle aziende: “L‘acqua deve tornare completamente in mano pubblica. Se Hera aumenta le tariffe quando manca l’entrata vuol dire che qualcosa non torna. Loro puntano all’entrata economica, ma questo ragionamento non può essere applicato su un bene come l’acqua”.
Dal Pd si continua a chiedere pazienza. Raffaele Donini, segretario provinciale del partito, è convinto che non ci sia “alcuna stangata post referendum. La discussione è ancora in corso. Il Pd si confronterà prendendo in considerazione la scelta referendaria”. “Ci sono diverse posizioni – continua – che devono misurarsi. Noi siamo disposti a discutere. Non vogliamo tradire lo spirito del referendum”.
Ma anche Nadia Tolomelli, della Cgil, si dice perplessa per questo nuovo probabile aumento: “Non siamo assolutamente d’accordo. Il referendum ha posto un tema: l’acqua come bene pubblico. È necessario quindi fare un nuovo ragionamento in relazione alle tariffe”. La strada intrapresa dopo i quesiti referendari “ci sembra un percorso vecchio. Noi chiediamo un confronto e un percorso nuovo che tenga conto di quello che i cittadini hanno chiesto con il referendum”. E in riferimento ai consumi più bassi, che per Hera comportano spese maggiori e quindi aumenti delle tariffe, per Tolomelli parla di qualcosa di “insensato. Anzi, dovrebbe essere un incentivo consumare di meno, parliamo di un bene che non è infinito”.