All'indomani della riconferma di Marco Reguzzoni, fedelissimo del senatùr, a capogruppo del partito a Montecitorio, parte la resa dei conti nel Carroccio. Il leader: "E' la base che tiene sotto controllo la Lega, non il ministro dell'Interno". Domenica a Pontida lo striscione che inneggiava a "Maroni presidente del Consiglio"
Domenica, sul prato di Pontida, era arrivato il primo segno di scollamento, con quello striscione “Maroni presidente del Consiglio” che sembrava un messaggio chiaro a Bossi: dalla secessione alla successione. Neanche una settimana dopo la Lega Nord non è mai stata così in bilico. “Maroni non è soddisfatto? Peggio per lui”. Le parole del senatùr suonano come una vera e propria rottura con il ministro dell’Interno, dopo la battaglia per il rinnovo del capogruppo alla Camera, che ha visto la conferma di Marco Reguzzoni, fedelissimo del “cerchio magico” del leader.
Ogni ora che passa si allarga la frattura interna che vede opposti il ministro e il gruppo di Rosy Mauro, dello stesso Reguzzoni, di Federico Bricolo e di tutta la frangia più vicina a Bossi. Personaggi influenti, capaci di arrivare dritti al capo grazie soprattutto al sostegno della famiglia, con il figlio Renzo e la moglie Manuela Marrone a fare da garanti e consiglieri.
Le ragioni della spaccatura? Sicuramente due diverse vedute sul futuro del partito, forse l’aspirazione ad assumerne il controllo, magari anche la paura che il declino politico di Berlusconi trascini a fondo anche le bandiere verdi. Per anni la solidità e la tenuta del movimento celodurista sono stati considerati un vero e proprio dogma. E non è che non ci fossero divergenze interne, ma i panni sporchi la Lega se li è sempre lavati in casa.
Anche la storia del Carroccio è costellata di piccoli scismi, ma il cuore del partito, quello verde padano, che batteva solo in nome di Umberto Bossi ha sempre tenuto la barra dritta, seguendo la rotta indicata dal capo. Se qualcuno aveva da ridire veniva invitato a guadagnare l’uscita. Oggi evidentemente la rottura è più profonda, più lacerante. Così anche nella Lega si assiste a quel teatrino fatto di voci, di rumors, di dichiarazioni a mezza bocca, di frasi dette e suggerite. Piccole o grandi confidenze più utili a screditare l’avversario che al bene del partito. “Purtroppo il problema è Bossi”, sussurrano alcuni bene informati dall’interno del Carroccio: “Non è più quello di una volta, si fa ammaliare dalle sirene”.
Le sirene sono ovviamente quelle di Marco Reguzzoni, che dopo aver lanciato l’Opa ostile sulla segreteria nazionale di Giancarlo Giorgetti è riuscito a resistere al contrattacco dei maroniani, restando incollato alla poltrona di capogruppo con la benedizione di Bossi.
Nel braccio di ferro tra Bossi e il “delfino” Maroni, che voleva prendere il controllo del gruppo parlamentare più delicato mettendoci il lombardo Giacomo Stucchi, alla fine hanno vinto il vecchio leader e il suo “cerchio magico”. Almeno per ora.
“Ma la situazione nella Lega è sotto controllo?” chiedevano oggi i cronisti davanti a Montecitorio. E il Senatur a rispondere: “E’ sotto controllo la base, è la base che tiene sotto controllo la Lega, non Maroni”. Ma ieri ci sono state liti durante riunione dei deputati leghisti? “E’ andata benissimo. Non ci sono liti dove ci sono io”.
In realtà la situazione è ben diversa. Umberto Bossi ha spuntato la vittoria nel primo “scontro” con il ministro dell’Interno, ma la guerra è solo all’inizio, a cominciare proprio da quella base che il senatùr invoca, sempre più inquieta.
Intanto però il capo ha conservato il terreno. Con l’astuzia. O forse con il ricatto. Va benissimo sostituire il capogruppo dopo un anno, aveva detto Bossi in mattinata ai deputati in attesa di un suo pronunciamento, “ma poi Reguzzoni lo mando a fare il segretario nazionale della Lega Lombarda”. Un messaggio fin troppo chiaro per i fragili equilibri leghisti: a saltare sarebbe stato proprio Giancarlo Giorgetti, l’uomo più vicino a Maroni all’interno del Carroccio. Insomma, un siluro al “delfino” designato dal popolo degli striscioni di Pontida che non ha lasciato scampo. Alle sette e mezzo di sera, Marco Reguzzoni era di nuovo a capo del gruppo parlamentare, per acclamazione, con grande soddisfazione di Bossi: “Sì, sono proprio soddisfatto”. E Reguzzoni: “Sono anch’io soddisfatto, questo vuol dire che la Lega è unita, che c’è solo Bossi e io sono un bossiano di ferro”.
Maroni, dunque, esce sconfitto nella prima avanzata contro il “cerchio magico” bossiano che ancora una volta ha tenuto saldo in mano lo scettro del comando. E dire, però, che il ministro aveva studiato bene ogni mossa. Dopo la “conquista” del gruppo alla Camera, che gli avrebbe dato il comando diretto delle truppe leghiste nella tenuta della maggioranza, l’idea era quella di ripetere l’operazione anche al Senato. Nel mirino dei leghisti di rito maroniano di Palazzo Madama ci sarebbe stato Federico Bricolo, guarda caso esponente di spicco tra i bossiani del “cerchio”. La sostituzione di Bricolo sarebbe stato un colpo ancora più forte a Rosy Mauro, che al Senato è vicepresidente.
Al posto di Bricolo, i maroniani puntavano a mettere Massimo Garavaglia, anche lui lombardo, ma proprio per non schiacciare troppo i favoriti sulla sezione lombarda, alla fine era saltato fuori il nome del veneto Paolo Franco. Ovviamente l’operazione Senato sarebbe partita – seppur con qualche difficoltà in più – solo dopo la “conquista” del gruppo alla Camera. Che sarebbe finita così forse Maroni lo aveva capito fin da ieri (lui era assente giustificato al Senato per via della laurea della figlia) quando c’era stato un salace scambio di battute con Castelli sulla bocciatura dei pedaggi sul raccordo anulare. Tant’è che anche ieri mattina alla Camera, Maroni risultava assente nei banchi del governo e non si è visto per tutta la giornata.
Quindi, nel pomeriggio, il segnale, con Bossi che è uscito più volte dall’aula di Montecitorio accompagnato da Reguzzoni e, infine, il voto. Reguzzoni, sulla carta, dovrebbe lasciare definitivamente la guida del gruppo a dicembre, a meno che il Cavaliere non lo chiami al governo alle politiche comunitarie, con Anna Maria Bernini forse alla Giustizia, per quanto questo nome sia già stato bocciato una volta dal Quirinale. Se Reguzzoni dovesse diventare ministro, forse nella Lega potrebbe riaprirsi la lotta per la successione interna, ma per il momento il capitolo pare definitivamente archiviato. Nonostante Pontida.
ha collaborato Alessandro Madron