È difficile parlare di televisione in questi giorni. Un post di un blog non è lo strumento giusto, quello che c’è scritto qui potrebbe essere diventato vecchio già tra poche ore. Forse sarebbe meglio utilizzare una bella diretta Twitter per dar conto delle fibrillazioni multiple di Viale Mazzini, Lorenza Lei, Luigi Bisignani, Michele Santoro, Fabio Fazio, Milena Gabanelli, Dagospia, Telecom Italia Media, La7, Repubblica, RCS, Silvio Berlusconi, Mauro Masi, nani, ballerine, agenti di nani, promoter di ballerine.
Allo stesso tempo ci sono poche certezze consolidate che meritano una riflessione.
a. la RAI è stata definitivamente piegata alle logiche politiche.
I partiti non hanno mai fatto mancare la loro pressione all’interno dei consigli di amministrazione della tv pubblica, ma avevano perlomeno mantenuto la decenza. Questa volta, invece, non c’è tempo per fare i politicamente corretti: bisogna ripulire tutto e subito, utilizzando tra l’altro un atteggiamento odioso, tipico delle dittature morbide, delegittimando il professionismo dei protagonisti della nostra TV pubblica attraverso continue dissertazioni sull’immoralità dei loro stipendi (Santoro e Fazio sono oggetto di radiografie pubbliche, spesso avallate anche dall’opinione pubblica di centrosinistra) o, peggio ancora, non negando il diritto a fare televisione, ma negando tutto il resto (la mancata offerta di tutela legale alla Gabanelli, a me, fa venire in mente Anna Politoskhaya).
b. Mediaset pare non esistere in questi giorni. Ci sono due fattori che mi portano a questa riflessione.
Il primo è che anche le TV di Berlusconi sembrano essere uscite dalla logica di costruzione dell’opinione pubblica, e anche di mercato. I dati di ascolto dell’anno appena concluso sono assai deludenti: la peggiore RAI degli ultimi tempi (di sempre?) ha distaccato il Biscione di circa 5 punti di share nell’arco delle 24 ore nel periodo di garanzia; in Borsa il titolo di Mediaset è in costante calo, fiaccato anche dai guai personali del Premier; asset strategici come Endemol, fino a ieri fiore all’occhiello del gruppo, oggi sono una zavorra da due miliardi di euro di debiti. L’unica preoccupazione di Berlusconi è il cosiddetto ‘target commerciale’, quello che interessa agli inserzionisti, l’unico segmento dove Cologno Monzese ha ottenuto questo risultato. Una prospettiva però di breve termine: trasformare un polo televisivo in un catalogo PostalMarket ne fiacca il potenziale di costruzione di senso e di consenso, di simboli e di immagini.
Il secondo è che esiste un terzo, forse un quarto, forse addirittura una costellazione di poli televisivi alternativi al duopolio Rai-Mediaset. Il balletto tra TV pubblica e TV privata, spesso una fisiologica transumanza all’interno della grande azienda pubblico-privata Raiset, non c’è più: non si discute più dell’alternativa Rai-Mediaset, ma del balletto Rai-La7, Rai-Sky, o persino l’assai dirompente televisione-internet.
c. Alla luce di questo scenario e dell’evoluzione del sistema mediatico italiano, l’obiettivo strategico di Berlusconi appare fin troppo chiaro: fiaccare le voci ‘mainstream’ dissidenti.
Ma il premier, dall’alto dei suoi settantaquattro anni e di una squadra che non presenta, per esempio, nativi digitali nelle posizioni apicali dei suoi media o dei dipartimenti per l’informazione, la comunicazione e l’editoria del Governo, sta applicando schemi classici a un mondo che è qualitativamente differente da quello che lui conosce e che lo ha portato al successo, che è il mondo di 5 anni fa, ma che oggi non esiste più.
Stupisce infatti che il premier e i suoi sodali, dopo le due sberle delle amministrative e dei referendum, abbiano deciso di offrire questo enorme vantaggio competitivo alla Rete. L’equazione è semplice e sicuramente farà parte delle nostre abitudini quotidiane: se la TV non ci offre nulla, vado a cercarmi qualcosa su Internet. Sul web, però, la destra è lontana anni luce dalle sensibilità degli utenti, la conseguenza è che se un utente va in Rete, ha molte più possibilità di trovare informazioni critiche nei confronti del premier, del Governo e del centroddestra rispetto a quelle che troverebbe persino nel peggiore degli editoriali televisivi.
Ecco perché Berlusconi, oggi più che mai, ha bisogno di Michele Santoro, di Fabio Fazio, di Milena Gabanelli, di Serena Dandini, di Roberto Saviano, in generale di una televisione che offra il meglio in termini di informazione e intrattenimento. Se la Tv è affascinante, gli italiani passano meno tempo su Internet o non lo usano per cercare smaniosamente contenuti; se uno spettatore guarda un talk show di approfondimento, con codici narrativi e linguistici che sicuramente lo staff del premier maneggia abilmente, il Governo ha più possibilità di salvarsi rispetto ai rischi che corre allontanando gli elettori dai media generalisti.
L’effetto è la formazione di un’opinione pubblica atomizzata, in cui ogni utente si costruisce il suo percorso di navigazione, condivide le informazioni e soprattutto non è obbligato a sentire l’opinione del Governo.
Per fortuna dell’opposizione, però, Berlusconi non tornerà mai sui suoi passi. Annozero può non cominciare.