Mercoledì scorso, terzo giorno, prima settimana di centro estivo. Non faccio che pensare a come sarebbe anche quest’ anno. Il primo dopo sette a non vedermi al coordinamento di un centro nel mio quartiere, a pochi minuti di bicicletta da casa.

Sette anni con cento bambini: quelli piccoli che diventeranno grandi e dopo la quinta ti lasceranno, quelli grandi che hai tenuto tutti e cinque gli anni sin dalla prima elementare, quelli di cui conosci fratelli, sorelle, cugini, parenti, perché sono stati tutti al tuo centro e quelli nuovi che vedrai solo per poche settimane, in una babilonia di nomi di tutte le nazionalità, a volte impronunciabili. Nomi e facce da ricordare, da imparare, da memorizzare. In questo sono una specialista, sono in grado di riconoscere anche automobili, scooter e biciclette dei parenti che portano e ritirano i loro fagottini. Ma è davvero difficile non sbagliarsi, a volte si assomigliano nomi e facce, poi devi sapere che al mattino arriva la mamma e al pomeriggio torna il papà, ma poi il giovedì viene la zia oppure il venerdì la dada.

Genitori uniti e genitori separati, genitori apprensivi da rassicurare (e per i quali è importante che ci sia proprio tu a rassicurarli) e genitori menefreghisti, simpatici e antipatici, educati e non: genitori di bambini. I bambini sono i loro tesori e di conseguenza i nostri. Ai piccoli devi insegnare un sacco di cose anche fuori dalla scuola, anche in un contesto ludico come quello del centro. Non si può prescindere dalle regole. C’è lo sfondo integratore, c’è il progetto educativo, ci sono mille attività che la società che ti assume ti chiede di preparare con competenza e affidabilità. La paga per questo lavoro ti fa sentire più o meno un volontario, sia che tu sia un educatore, un istruttore o il vice coordinatore con responsabilità diversificate ma sempre enormi.

Bambini da proteggere da altri bambini, a volte dagli adulti, a volte anche da sé stessi. Bambini sereni e bambini evidentemente tristi, bambini che sono lo specchio dei loro genitori naturali o adottivi. Bambini che disegnano i loro disagi e bambini che si integrano a dispetto dei loro problemi, forti della loro voglia istintiva di essere come gli altri. Bambini da contenere o da stimolare, bambini responsabili anche per gli altri e bambini che non riescono a rimettere le loro cose nello zanietto, bambini che stanno affrontando la separazione dei loro genitori e bambini fortunati che arrivano con i nonni bolognesi (che si fermano a fare due chiacchiere scherzose con noi altri). Bambini minuscoli e bambini in sovrappeso (uno dei nostri compiti è educarli a mangiare tutto e moderatamente, in particolare le verdure che snobbano insieme alle mele), bambini buonissimi ed educatissimi e altri caratteriali, stare insieme ai quali diventa una missione, per i quali i due mesi di centro estivo a volte rappresentano una svolta positiva, per la socializzazione che li porta a personali maturazioni (che ti chiedi se riusciranno a conservare una volta usciti da lì). Bambini che anche quando sembrano distratti e immersi nei loro giochi ti osservano, ti ascoltano, pronti a carpire ogni tuo segreto anche il più invisibile e manifestarlo successivamente in quelle loro uscite da “bocca della verità”. Li vedi ricorrere a te continuamente per mille bisogni, salvo andare via all’arrivo dei genitori senza nemmeno salutarti (certe volte).

Giochi all’aperto, laboratori, giochi in palestra. Ripenso ai miei quiz dispettosi, all’impiccato con le figure buffe che disegno sulla lavagna e che fanno tanto ridere i più piccoli, ai quiz musicali e alle domande le cui risposte lascio in sospeso se finisce il tempo del gioco, per incuriosirli, tanto che poi mi assillano tutto il giorno inseguendomi per le aule.

Zanzare tante. Nel cassetto della scrivania ci sono minimo tre flaconi di spray anti insetto di tutte le latitudini e forme, puzzolenti e inutili, tanto già alle sette e quaranta del mattino, dopo dieci minuti dall’apertura del centro, i più sfortunati come me sono già pieni di bubboni pruriginosi. I bambini invece sono specialisti nel farsi pungere dalle api ma io ho il sospetto che non le lascino troppo in pace: hanno una predilezione per insetti, formiche e quant’altro riescano a trovare e inseguire nel parco.

Che dire di noi dello staff, con i nostri scambi di sguardi muti le volte in cui non riusciamo nemmeno a scambiare quelle due battute capaci di allentare la tensione o crearne di nuova tra di noi. In effetti pur stando otto ore al giorno insieme non riusciamo a parlarci quasi mai e se lo facciamo è spesso nell’urgenza del momento. E’ un lavoro parecchio basato sulla velocità e adattamento.

Il momento del pranzo è chiassoso e tuttavia rilassante nel suo caos generale, necessario alla ricarica tanto fisica quanto più spesso psicologica. La stanchezza con i bambini si trasforma in fisica ma è spesso soprattutto e prima di tutto mentale. Soglia dell’attenzione alta e costante tutto il tempo, faticosa soprattutto per chi è un po’ ansioso come me, preoccupato prima di tutto dell’incolumità, a volte a discapito anche del loro divertimento.

Alla fine di queste giornate fatte di otto dieci ore, a volte dodici (nel giorno di riunione di programmazione settimanale), ti senti (non necessariamente nell’ordine): svuotato, svilito, soddisfatto, felice, stanco, assonnato, ma anche adrenalinico con la voglia di uscire la sera per staccare un po’, perché è un lavoro dal quale rischi di non staccare mai. Un lavoro che ti conquista progressivamente anche se conti i giorni della settimana perché arrivi presto il venerdì, perché i bambini ti succhiano tutto, si prendono praticamente tutto di te.

I primi giorni, nei sogni sei ossessionato dai resti diurni. Dopo un paio di settimane poi la voce comincia a diminuire, pericolosamente portandoti verso dolorose e lunghe afonie.

Una volta dovevo zittirli tutti per cominciare un discorso, e dopo esserci faticosamente riuscita, mentre stavo per prendere la parola, loro tutti seduti a guardarmi, uno dei miei istruttori grida: “Campioni del mondo” (era un anno di mondiali!). Caos immediato e magia interrotta!

Mi fanno tenerezza e un po’ pena questi bambini di città che non hanno possibilità nemmeno dopo la scuola di riposarsi davvero. Sono comunque costretti a svegliarsi prestissimo e venire alle sette e mezzo e rimanere insieme a noi fino alle cinque e mezzo (quelli i cui genitori lavorano tutto questo tempo) e il loro unico mare sono la piscina dell’Arcoveggio o di Monterenzio, quando facciamo le grandi uscite. Le ferie dei genitori sono poche, i nonni spesso non ci sono (molti sono figli di meridionali o di immigrati), e poi ogni anno sono sempre meno i soldi pubblici, sono sempre più i bambini che per frequentare devono pagare. A volte mi chiedo dove vanno quelli che rimangono fuori dalle graduatorie. Ci sono molte organizzazioni, alcune con ragazzi molto giovani a tenere i piccoli.

“Tu ci sarai il prossimo anno vero?” E’ la domanda più frequente che mi sono sentita fare dopo le prime settimane. Tutti abbiamo bisogno di certezze, in modo particolare un genitore quando si tratta del proprio figlio.

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