E’ stato il primo presidente 2.0 della storia. E ora, grazie alla Rete, vuole riconfermarsi al secondo mandato. Barack Obama, che nel 2008 ha vinto le elezioni contro John McCain grazie a una campagna elettorale giocata online, si appresta a dare battaglia ai repubblicani per la prossima tornata del 2012. E lo fa scrivendo il suo primo messaggio su Twitter.
Già a novembre del 2009, il tech-president si era definito “troppo imbranato” per non essere in grado di usare il suo account sul sito di microblogging che conta quasi 9 milioni di followers. Il suo primo tweet risale al gennaio 2010 quando, dall’account della Croce Rossa e in terza persona, ha scritto in 140 caratteri che lui e la first lady Michelle erano in visita al quartiere generale impegnato nei soccorsi per il popolo di Haiti. Successivamente è stato lo staff del Presidente a postare gli aggiornamenti su Twitter e sulla pagina Facebook che conta oltre 21milioni di fan. Dagli esordi della nuova campagna elettorale, ufficialmente iniziata lo scorso 3 aprile con il video postato su YouTube “It begins with us”, ha lasciato il suo primo tweet il 19 giugno. Nulla a che fare con la politica: ha fatto gli auguri a tutti i followers per la festa del papà. Come ha annunciato lo staff, per garantire la massima trasparenza, i messaggi di suo pugno saranno firmati con le iniziali “-BO”, per non confonderli con quelli postati dai collaboratori.
Nel corso del primo mandato Obama ha riconosciuto il ruolo determinante del web e dell’Huffington Post per la sua vittoria ma non ha sempre raccolto i consensi della Rete. Nonostante dal 2008 i blogger siano stati accreditati per la prima volta alla Casa Bianca, si era dichiarato preoccupato del monopolio della blogosfera sulle notizie perché, secondo lui, alimentava il gossip senza verificare le fonti.
In seno ai democratici sono nate anche proposte di legge per limitare la libera circolazione degli utenti sul web e sulla privacy: tra questi il «Protecting Cyberspace as a National Asset Act», rinominato anche «Internet Kill Switch», che consentirebbe di bloccare la rete in caso di un grave attacco di cyberterrorismo e la possibilità per l’FBI di intercettare sul web e aggirare le conversazione criptate del backberry. Provvedimenti, garantiscono dall’amministrazione, a tutela della sicurezza nazionale.
A questo è seguito però stanziamento di 70 milioni di dollari per realizzare un progetto di rete clandestina nei paesi in cui vige ancora la censura e a febbraio Obama ha incontrato nella Silicon Valley il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, oltre a Steve Jobs di Apple, e Eric Schmidt e Carol Bartz, amministratori delegati di Google e Yahoo.
Anche se finora non ha curato di persona i suoi account online, il Presidente Usa ha posto l’agenda digitale tra le priorità del suo programma. Dopo l’elezione infatti, non ha abbandonato il popolo della Rete che lo aveva sostenuto, e ha affidato la gestione del dialogo virtuale allo staff.
Un approccio diverso rispetto ai politici italiani che, in odore di elezioni, si attivano sui social media e a urne chiuse abbandonano i siti personali. Romano Prodi, ad esempio, era scomparso dal web dopo le elezioni del 2006 e, durante la stessa legislatura, l’ex Guardasigilli Clemente Mastella aveva chiuso i commenti al suo blog. Ma anche a destra non mancano gli esempi di incomunicabilità 2.0: per Silvio Berlusconi il dialogo verso gli elettori passa ancora dalla tv e Giorgio Stracquadanio è convinto che usare Internet sia una pratica da fannulloni.
Insomma, meglio fare come Obama: che sia lo staff o il candidato a firmare tweet e status, l’importante è non abbandonare la Rete. E, vincitori o vinti, continuare ad ascoltare i cittadini.