Dovevano servire per un progetto per le pari opportunità tra uomo e donna. Invece, 416mila euro sono stati spesi per stampare manifesti raffiguranti dei “feti parlanti” che invitano a non abortire. La commissaria Reding ha chiesto la restituzione dei soldi, ma gli inventori delle locandine ribattono: "Macché aborto, è per sostenere l'adozione"
Ben inteso, le autorità ungheresi hanno negato ogni intenzione esplicita di vietare l’aborto (accettato dal 60 per cento degli ungheresi, secondo Eurostat), dichiarando invece di volere un’iniziativa “rivolta a quelle donne che non vogliono abortire ma non hanno i mezzi per mantenere un figlio”. Insomma si tratterebbe di un grande equivoco, ovvero di una “campagna a favore dell’adozione”. Ma Bruxelles non se l’è bevuta, tant’è che la commissaria Reding, imbeccata dall’eurodeputata francese e socialista Sylvie Guillaume, ha detto che inizierà immediatamente “la procedura per fermare il finanziamento” e prenderà “le dovute misure, anche finanziarie”. A quanto pare, “la campagna in questione non è conforme al progetto presentato dalle autorità ungheresi” al momento della domanda di finanziamento.
I poster in questione, che tappezzano le strade di Budapest, ritraggono un feto che dice alla propria madre: “Capisco che non sei ancora pronta per avermi, allora dammi in adozione: Lasciami vivere!”. Scandalizzata la reazione delle femministe, che denunciano la “volontà del governo di fare un passo indietro sull’aborto”. Un passo indietro lo ha fatto sicuramente Bruxelles, che non vuol essere complice di questa campagna. Sylvie Guillaume è soddisfatta della dura risposta della Reding: “Nella guerra contro il populismo dilagante in Europa e del quale l’Ungheria è diventato un laboratorio, si tratta di una vittoria. Piccola, ma pur sempre una vittoria”.
Il caso della campagna anti-aborto sembra infatti solo una battaglia dell’annosa guerra scoppiata in Ungheria attorno alla nuova Costituzione approvata lo scorso aprile dal governo di destra del premier Viktor Orbán. Grazie a una schiacciante maggioranza in parlamento, il suo partito Fidesz ha avuto vita facile nell’approvarla senza consultare la minoranza. Tant’è che Socialisti e Verdi in occasione del voto erano addirittura usciti dall’Aula in segno di protesta.
L’Ungheria è il primo paese dell’ex blocco comunista a dotarsi di una nuova Costituzione. Oltre che per le modalità d’approvazione, il testo si trova al centro di aspre polemiche anche per il contenuto spiccatamente “confessionale”: non solo viene sancito che la vita del feto va preservata fin dal concepimento, ma anche il concetto che la famiglia può essere composta solo da un uomo e una donna. Con buona pace del diritto all’aborto e delle coppie di fatto.
Perfino gli esperti della commissione di Venezia del Consiglio d’Europa avevano espresso serie preoccupazioni su modalità e contenuto del testo costituzionale “approvato in fretta e furia e a colpi di maggioranza”. Secondo la commissione, alcuni di questi temi, come aborto e matrimonio, dovrebbero essere lasciati al dibattito etico all’interno della società o tutt’al più regolati dalla legislazione ordinaria. Al contrario, altri temi, come la libertà di stampa e l’indipendenza del sistema giudiziario, non vengono adeguatamente affrontati.
“Mancanza di trasparenza, carenza nel dialogo tra maggioranza ed opposizione, inadeguato dibattito pubblico e tempi davvero troppo stretti”. Non male per un testo che costituirà l’ossatura legislativa dell’Ungheria per anni a venire. Tant’è che la questione è arrivata sui banchi di Bruxelles, dove il Parlamento europeo dovrà votare una risoluzione (non legislativa) il prossimo luglio. Ma l’Unione europea non può andare oltre il segnale politico, visto che non ha il diritto di interferire negli affari interni dei paesi membri. Il timore è che la campagna anti-aborto sia solo il primo passo dell’Ungheria verso un decisivo giro di vite sui diritti.