Si sfoga Giovanni Donigaglia, 71 anni appena compiuti, durante il suo interrogatorio nel tribunale di Ferrara. Sfoga la rabbia e il rancore tenuti dentro per anni. Tanto che finisce per non rispondere nemmeno alle domande della pm Ombretta Volta. E torna invece a parlare del famoso memorandum, “scritto per difendermi dalle accuse che i vertici nazionali del partito mi rinfacciavano”. Siamo nel 2004. Da un anno non è più al timone della Coopcostruttori. Lui è diventato il capro espiatorio del crac da oltre un miliardo di euro sul quale stava indagando la procura di Ferrara. Lo scritto verrà consegnato in forma di esposto alla magistratura. Non portò a nulla dal punto di vista processuale, “ma gli allegati in esso contenuti non sono mai stati contestati”.
Allegati che collegano l’ascesa e la caduta del colosso argentano con il filo rosso Pci-Pds-Ds. Era il 1945, 14 luglio (“il giorno dell’attentato a Togliatti” precisa l’ex patron) quando nacque il primo nucleo di quello che sarà la Coopcostruttori. La Cooperativa Terra e lavoro ottiene dal Comitato di liberazione la concessione della fornace di Filo di Argenta. “Attraverso sacrifici enormi siamo riusciti a crescere. Il mio ufficio aveva le pareti di nylon. Arrivammo nel ’74 a incorporare altre cooperative del territorio in difficoltà”. Nasce la Coopcostruttori, che a metà degli anni ’80 è già ai vertici nazionali dell’edilizia. “Era la fede politica che ti portava avanti”. Nel frattempo Donigaglia diventa presidente nel’79, per succedere a Giulio Bellini, finito in parlamento. Eravamo tutti comunisti e socialisti”. Anche il cda si vedeva frazionato a mo’ di manuale Cencelli: “sei comunisti e tre socialisti”. L’appeal con il partito di riferimento finisce nella seconda metà degli anni ’90. Legacoop valuta il salvataggio di Coopcostruttori attraverso la finanziaria Finec. Dall’esame dei bilanci però si disse che “la società è decotta”: non c’era margine ormai per tamponare le falle. Donigaglia ne dà una lettura diversa: “Giovanni Consorte mi disse che avrebbe garantito il prestito sociale, ma poi negò il finanziamento. Si preferì salvare le cooperative del ravennate. Fu un tradimento terribile”.
E il peso dei partiti si sentiva anche all’esterno. “Ci chiesero di prendere Cercom di Comacchio e Felisatti di Ferrara (altre aziende in difficoltà, ndr). Ci furono anche le proteste dei lavoratori, perché a Comacchio per lavorare ci chiedevano tangenti del 5% che io non volli pagare (ne seguì il processo Laguna Pulita, prescritto in appello, ndr), mentre in città eravamo ostacolati da un forte campanilismo”.
Questo “prima”. In aula i giudici vogliono sapere del “dopo”. Di quando, negli anni 1992 e ’93, si avvertono i primi scricchiolii nel gigante delle costruzioni di Argenta. “L’azienda lavorava per gli enti pubblici, il che significa accettare pagamenti a 120 o anche 180 giorni; fin dai primordi c’era lavoro ma non i soldi; nacque così il prestito sociale”. Ma non si può parlare di crisi secondo l’imputato: “avevamo problemi finanziari, non economici; non riuscivamo a incassare, ma i cantieri erano in attivo”.
Di tutto questo lui informava “cda e soci”, anche se nei verbali non risulta, “perché si trattava solo di fogli di sintesi; i discorsi che facevo erano più ampi”. Anche quando le agenzie di certificazione iniziano a rilevare che qualcosa non va. “Io leggevo la relazione. In quei casi dicevo che le relazioni erano positive ma con dei rilievi. E i consiglieri erano soddisfatti. Alzavano la mano e approvavano”. Di fronte alle criticità di bilancio sollevate dai revisori, insomma, il cda era contento e approvava.
Ma chi prendeva le decisioni? Lui o l’intero cda? Il ruolo dei vari Giorgio Dal Pozzo, Renzo Ricci Maccarini, Beppino Verlicchi e degli altri consiglieri era quello di semplici yesman? La risposta non tarda ad arrivare: “le decisioni sul prestito sociale, sull’emissione di Apc, sulle strategie aziendali erano condivise. I verbali venivano firmati da presidente, segretario e consiglieri. Tutti erano d’accordo e io non ho istigato nessuno ad approvare le delibere. Il problema è che quando tutto andava bene allora si decideva assieme. Quando si inizia ad andar male allora le decisioni sono solo mie…”.
È probabilmente quello che voleva sentirsi dire la pm Volta, che contesta agli ex vertici della cooperativa l’associazione a delinquere e la bancarotta fraudolenta.
“C’era soddisfazione perché il giudizio era positivo. Il buco c’è stato dopo, con l’amministrazione straordinaria”, corregge il tiro Donigaglia. Ma il pm gli ricorda che sulle anticipazioni di fatture, emesse secondo la difesa in qualità di crediti futuri, su oltre mille esaminate dalla finanza, circa un quinto risulta non stornato né annullato”. “Perché una volta scattata l’amministrazione straordinaria (siamo quindi nel 2003, ndr), si bloccano i cantieri e con essi l’attività di recupero”, si difende Donigaglia. Eppure secondo la perizia del tribunale molte di queste fatture risalgono agli anni tra il ’95 e il ’98.