I tre anni di comando alla polizia municipale di Parma di Giovanni Maria Jacobazzi si sono conclusi con una multa sul parabrezza e la rimozione della sua Smart, parcheggiata in divieto proprio davanti al tribunale. Mentre lui è rinchiuso nel carcere di via Burla. Una piccola rivincita che si sono potuti riprendere i suoi vigili, che lui aveva chiamato “banda di incompetenti”, “sciatti”, “vigili di merda”, “sfigati”, “mandria di imbecilli” dopo che avevano esercitato il loro lavoro: avevano multato il dehors delle Sorelle Picchi, in via Farini, noto ristorante di proprietà della famiglia Rosi. Secondo Jacobazzi, infatti, i suoi uomini non avrebbero dovuto dare fastidio ai potenti della città: un comportamento che gli faceva rimettere la faccia. E che non tollerava, al punto da minacciare di trasferimento di mansione il responsabile della polizia annonaria, “colpevole” di non aver controllato i vigili e aver quindi permesso loro di svolgere il loro legittimo lavoro.
Le intercettazioni portate a termine sui telefoni degli 11 arrestati (il comandante della polizia municipale di Parma, Giovanni Maria Jacobazzi, i dirigenti comunali Carlo Iacovini, Emanuele Moruzzi, il presidente di Engioi Ernesto Balisciano, il dirigente Enìa Mauro Bertoli, e gli imprenditori Gianluca Facini, Norberto Mangiarotti, Alessandro Forni, Giangi Andreaus e Tommy Mori, oltre all’investigatore Lupis Giuseppe Lupacchini) e comparse sull’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip, Maria Cristina Sarli, portano alla luce comportamenti non solo illegittimi, ma moralmente deprecabili per funzionari pubblici che si sono dimostrati sottomessi al potere al punto di andare contro al proprio lavoro e corrotti per pochi spiccioli e vantaggi personali. E dal documento emergono anche nuovi nomi che potrebbero essere coinvolti, tra i quali carabinieri e altri funzionari pubblici comunali.
Era ottobre 2010 quando Giovanni Maria Jacobazzi scoprì che alcuni vigili avevano elevato una contravvenzione di 150 euro al dehors delle Sorelle Picchi in quanto il permesso di occupazione del suolo pubblico era scaduto. Il comandante si precipitò a chiamare il responsabile della polizia annonaria: “Non va bene questa cosa. Chi ha fatto il verbale? Dov’è?“. Il vigile si scusa dicendo che era fuori città e che era stata un’iniziativa dei suoi uomini. Jacobazzi si scalda: “Siete una banda di incompetenti. E’ imbarazzante l’incompetenza e la sciatteria dei vigili che hanno fatto il verbale. Sarebbero in grado di multare il sindaco”. E minaccia il suo sottoposto di trasferimento, in quanto incapace di tenerli a bada. Il vigile si scusa e si offre per pagare la multa di tasca sua: “Non è la multa – si infuria Jacobazzi – è che non c’è controllo su questi cazzo di vigili di merda, capito? Questi sfigati non li controlla nessuno, non possono continuare ad andare in giro a fare multe. Mi sono rotto il cazzo di quello che mi multa l’assessore. Non posso rimetterci la faccia per un branco di imbecilli”.
A conferma della sua sottomissione, segue una telefonate di scuse a Nino Rosi: “Sono mortificatissimo e incazzatissimo come una iena, lavoro con una mandria di imbecilli, altrimenti non sarebbero in Comune”. Ma l’imprenditore ammette di essere stato in torto in quanto non aveva pagato la concessione e che non c’erano problemi. Ma la furia di Jacobazzi non si placa: chiama per spostare realmente di mansioni il responsabile del settore commercio, nonostante più colleghi cercassero di farlo ragionare, e i due vigili che avevano elevato il verbale alle sorelle Picchi.
Ma questo non è l’unico episodio spiacevole. A settembre 2010 Jacobazzi viene contattato dall’investigatore privato Giuseppe ‘Lupis’ Lupacchini di Monza, che gli offre 5mila euro in cambio di informazioni private su il titolare di un’azienda sul quale stava indagando. Il comandante non si lascia sfuggire l’occasione: prende l’auto di proprietà del Comune, una Panda (e spunta quindi anche il reato di peculato) e si reca a Monza per ricevere del materiale informativo. A Parma contatta due carabinieri (secondo l’ordinanza si tratta di Vito Russo che è indagato e di un suo collega) ai quali consegna via mail e personalmente il materiale su cui deve ottenere informazioni. Si tratta di visure e procedimenti penali a carico di un privato, titolare di una società. Il primo consegna poche informazioni, scusandosi e dicendo che non ha accesso ai dati dello Sdi. Il secondo, dopo vari incontri privati, pare recuperare i dati di cui Jacobazzi avrebbe bisogno, tanto che qualche giorno dopo Jacobazzi ritorna a Monza e riceve ‘Quattro caramalle’, come in codice definiva i soldi l’investigatore Lupis. Il comandante aveva ottimi rapporti con la città di Monza, dove era comandante del Norm dei Carabinieri fino al 2005.
Emergono poi particolari sul suo rapporto con l’imprenditore Alessandro Forni, che cercava di favorire negli appalti. E’ il caso dell’assegnazione dei lavori per l’area di sgambamento dei cani poliziotto del comando, Paco e Ax. I lavori sono stati affidati a Forni d’ufficio, simulando una sorta di selezione tra preventivi di altre aziende amiche dello stesso Forni, che li avevano gonfiati a dismisura per farsi scartare. In cambio, Forni, ha realizzato lavori nei giardini pensili della casa al mare di Jacobazzi, a Santa Marinella a Roma, dal valore di 5mila euro. E così, dalle intercettazioni emerge anche che il comandante aveva promesso all’imprenditore appalti dal valore di 280mila euro per dei bagni pubblici mobili, per la fornitura del mangime al canile municipale e per l’attraversamento pedonale delle scuole. Così come l’assegnazione del servizio di distruzione di oggetti contraffatti sequestrati: per testare l’apparecchiatura di Forni è stata addirittura prelevata dal comando una borsa che era posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria.
In cambio? L’utilizzo gratuito dell’appartamento di Forni, in piazza Garbialdi, un bellissimo attico che domina la città. Anche se le motivazioni non emergono dalle telefonate. E qualche bella pianta verde nell’ufficio del comando dei vigili.
Ma la Parma corrotta non si ferma qui. Nelle 75 pagine dell’ordinanza emergono dettagli raccapriccianti. Come il fatto che il dirigente comunale, Emanuele Moruzzi, si sia comprato una moto da Trial dal valore di 5700 euro pagandola con fatture emesse dal Comune di Parma, così come l’impianto a gas realizzato dell’auto del padre. Secondo la testimonianza di alcuni operai che lavoravano per le ditte di Mangiarotti, Forni, Facini, inoltre, si sarebbero realizzati lavori gratuiti nella residenza di Moruzzi a Parma (oltre che posizionare uno scivolo proveniente da una partita destinata ai parchi pubblici), quella di un suo parente, quella estiva a Terenzo, oltre che ai lavori in casa dell’altro dirigente comunale coinvolto, Carlo Iacovini, e dell’asilo di proprietà della sua ex moglie, a Brescia.
Il tutto in cambio di appalti con fatture gonfiate a dismisura. E’ il caso delle rose del lungo Parma, il cui pagamento è stato commentato “Neanche avessimo messo dell’oro dentro” da parte di chi aveva visionato il preventivo. Sul contratto di affido dei lavori compare invece la scritta “La scelta del fornitore (la Pieffe di Facini) è in accordo alle direttive dell’amministrazione comunale che non intende far partecipare altre ditte che non siano già state autorizzate nell’ambito dell’affidamento del contratto di Global service per evitare inutili perdite di tempo”.
Al canile municipale, inoltre, si continuava a pagare la Ringhio srl, azienda di proprietà della moglie di Moruzzi, per toelettature di cani in realtà svolte dai volontari. Ma non solo: 80mila euro dovevano essere utilizzati per lavori di ombreggiatura svolti con i soldi delle offerte al canile di irrigazione inesistente. E si sono spesi 28mila euro per un buffet di inaugurazione della struttura Lilli e il vagabondo che comprendeva un vassoio di pasticcini e qualche bottiglia. Una situazione conosciuta bene da chi frequenta abitualmente il canile, il cui personale era assunto dalla stessa Sws, student work service, della cooperativa di Giangi Andreaus e Tommy Mori e raccontata nei dettagli agli inquirenti e che fanno ipotizzare che altre persone fossero a conoscenza del giro di bustarelle tra Moruzzi, Bertoli, Tannoia e le fatture gonfiate o emesse per lavori inesistenti.
La cooperativa, infatti, pare essere proprio ‘la cassa’ dove finivano i soldi del ‘gruppetto’, attraverso il pagamento di servizi mai effettuati. E’ lo stesso Balisciano, presidente di Engioi, a dare consigli a presidente e vice su come amministrare i soldi senza destare sospetti: “Organizzatevi in modo da avere un fatturato costante. Utilizzate almeno quattro banche per aggirare le norme antiriciclaggio”.
Tra i servizi pagati, ma mai effettuati dalla Sws spiccano gli allestimenti natalizi del 2008 (15mila euro), la gestione degli esposti ambientali della cittadinanza (15mila euro e una seconda tranche di 60mila euro), la consulenza a studi e verifiche di fattibilità per sistemazioni dei canali irrigui (55 mila euro), un volantinaggio domenicale (10mila euro), un’altra gestione degli esposti (60mila euro), e la predisposizione e la raccolta dati per potature (15mila euro).