Non ci si domanda perché ci sono certi comportamenti da parte di chi ha responsabilità pubbliche, ma il problema è ancora una volta soprattutto perché questi fattacci sono finiti sui giornali, a disturbare i nostri placidi sogni.

Di fronte all’ennesimo scandalo, l’unica levata di scudi è contro lo strumento che ha permesso ancora una volta di sollevare il velo su un sistema nel quale, in sostanza, il conflitto di interessi è il vero principio fondamentale e fondante. Non entro nel merito della rilevanza penale: questo lo valuteranno i giudici competenti una volta dato anche spazio alle difese e vagliati nel contraddittorio tutti gli elementi. Ma per ritenere il disvalore politico ed etico non si deve aspettare la Cassazione, non solo perché altrimenti tutto sarebbe sospeso per anni con estrema ipocrisia, ma soprattutto perché i cittadini hanno il diritto e l’obbligo di poter conoscere e valutare l’operato di chi ha responsabilità pubbliche: magistrati compresi, ovviamente!

Povero quel Paese che affida solo alla giustizia penale il giudizio sul comportamento etico dei suoi governanti. Il fatto che adesso non si parli di modificare lo strumento di indagine non mi libera da tutte le preoccupazioni: la difesa del diritto di informare e di essere informati attiene al buon funzionamento di tutte le istituzioni democratiche, perché se non c’è trasparenza non ci può essere una cittadinanza informata e consapevole e quindi capace di esprimere la sua volontà in maniera piena e indipendente e non solo abbeverandosi a un po’ di propaganda.

La soluzione per evitare un abuso nelle pubblicazioni c’è ed è molto semplice: divieto assoluto di pubblicare intercettazioni fino a quando accusa e difesa non avranno selezionato quelle che ritengono rilevanti davanti al giudice per le indagini preliminari; dopo questo filtro, distruzione di quelle irrilevanti e autorizzazione a pubblicare solo le restanti.

E’ un punto di equilibrio chiaro che tutela le indagini, le persone coinvolte, ma che non hanno commesso fatti rilevanti, e i cittadini, che vogliono conoscere i comportamenti illeciti di chi li governa e di chi amministra a qualsiasi titolo la cosa pubblica. Ogni ulteriore laccio all’informazione (anche sotto il profilo soltanto della procrastinazione delle pubblicazioni possibili) mi sembrerebbe immotivato, pericoloso e utile soltanto a chi teme che la gente sappia troppo. Quelli che considerano il popolo un “minorenne” a cui non mostrare le brutte cose che si devono fare quando si gestisce il potere (ricordate il monologo di Andreotti ne “Il Divo”?).

Troviamo allora una soluzione equilibrata sulle pubblicazioni, così potremo finalmente tornare a guardare la luna e non il dito! Perché, tanto per fare un esempio, non diamo attuazione alla Convenzione di Strasburgo del 1999 (firmata subito e mai ratificata) che ci imporrebbe di punire anche in Italia il c.d. traffico di influenze? Questo aiuterebbe l’autorità giudiziaria a perseguire questi comportamenti scorretti e lesivi degli interessi pubblici e di quella meritocrazia di cui poi tutti si riempono la bocca in campagna elettorale.

A volte certi esami medici sono dolorosi e invasivi, ma se ci aiutano a scoprire e curare brutte malattie diventano necessari: è curioso che nella metafora italiana spesso il cancro sia la magistratura e non chi piega il bene pubblico ai propri interessi.

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