Là dove c’era l’erba c’è un’azienda per lo smaltimento di “rifiuti speciali pericolosi” finita due volte nel mirino della magistratura e altre sette industrie, due a rischio incidente rilevante e altre con “potenziali impatti sull’area Expo”. Il tutto è racchiuso da due autostrade distanti tra loro solo 650 metri e 60 dal muro perimetrale delle prime abitazioni mentre lì a due passi ci sono il Carcere di Bollate e il centro meccanizzato di Poste Italiane. Benvenuti nel futuro “Expo Village”, l’area residenziale che sorgerà dalla riconversione degli spazi adibiti ad accogliere addetti e ospiti nel 2015. Un’operazione pianificata dal Comune di Milano per rientrare dei costi stratosferici di acquisto delle aree che rischia invece di naufragare e trasformarsi in un flop immobiliare, con l’aggravante di essere stato finanziato, promosso e gestito interamente dal pubblico.
Tutto inizia con il dossier di candidatura per Expo, compilato in fretta e furia dal comitato promotore per battere Smirne e accreditare Milano come il “miglior interlocutore possibile per ospitare l’evento”. Immagini patinate, presentazioni dinamiche al computer e rendering futuribili che suggeriscono un’armonica convivenza di forme architettoniche d’avanguardia e grandi spazi verdi. E’ tutto un bluff. Una pubblicità ingannevole: a Rho Pero non si prepara “un’oasi naturale a due passi da Milano” ma una struttura residenziale composta da 160 edifici di quattro piani ciascuno in un’area pesantemente compromessa dalla sua originaria vocazione industriale che il Comune tenta di cancellare a colpi di variante per classificarla “residenziale edificabile”. Un tratto di penna, e l’area libera classificata a verde agricolo cambia destinazione. Ma succede anche il contrario: nella fretta i tecnici di Palazzo Marino hanno preso per verde agricolo porzioni di area classificate catastalmente ad uso industriale. In pratica, hanno cancellato le fabbriche chimiche omettendone l’esistenza. Ma la chimica pesante resta lì, come le autostrade con il loro smog e il carcere. Così l’oasi a “impatto zero” propagandata dal masterplan di Expo 2015 si candida a diventare una cattedrale nel deserto, l’ennesimo regalo delle politica locale a un hinterland post-industriale sempre più spoglio e desolato.
ECOLTECNICA, L’INDUSTRIA SOTTO INCHIESTA
Un pezzo si chiama Ecoltecnica Italiana Spa ed è una delle più importanti piattaforme lombarde per la preparazione di rifiuti speciali, pericolosi e non. Ha 43 dipendenti e un presidente, un fatturato medio di 30 milioni di euro l’anno e una capacità di smaltimento pari a 150mila tonnellate. Gran parte dell’Expo Village sorgerà proprio a due passi da lì, tra uno stoccaggio di amianto e una lavorazione di inerti tossici. Possibile? Sì, perché fino a tre anni fa per la Società Expo 2015 quell’insediamento industriale non esisteva affatto. Tanto che nel 2008, quando è stato firmato l’accordo di programma e il relativo Masterplan (cioé il calco urbanistico-architettonico dell’Expo) quell’area era classificata “V.A”, cioè “verde agricolo” sulla base di una “perimetrazione” delle aree “non conformi alla realtà esistente”. Lo rivelano le osservazioni presentate dalla stessa Ecoltecnica alla Valutazione ambientale strategica (Vas), il documento di 280 pagine che raccoglie indicazioni e pareri di tutti i soggetti interessati dal progetto Expo. La dimenticanza appare ancora più paradossale se si pensa che la presenza della fabbrica, in un’area a raso d’erba di un milione di metri quadri, è annunciata da due camini per le emissioni in atmosfera alti 12 e 18 metri. Bastava un sopralluogo per vederli. Peggio, la stessa azienda è stata più volte al centro delle cronache nazionali per vicende poco limpide di smaltimento che risalgono al 2003 e arrivano fino al maggio scorso, quando dagli impianti di via Belgioiso transitano i rifiuti tossici della ex Sisas. Da quest’ultima vicenda è nata perfino un’interrogazione parlamentare e proprio ieri è stato indagato il capo della segreteria tecnica del ministro Prestigiacomo. Ma niente. Quell’industria non esiste. Così nella programmazione di Expo, poi inserita nel Dossier di Registrazione e consegnata al BIE di Parigi, si è giocato liberamente con lo spazio e con la fantasia. E gli effetti sono paradossali come la collocazione, proprio a ridosso della discarica speciale, dell’area tematica “Agrosistemi”, con le sue serre e i suoi campi coltivati. Insomma, un’oasi verde tra i rifiuti tossici. Una convivenza difficile che non lascerebbe dormire sonni tranquilli ai futuri residenti delle palazzine made in Expo, anche perché secondo le contro osservazioni, la proprietà di Ecoltecnica non ha ancora provveduto a predisporre il “Piano di emergenza esterno” previsto per legge fin dal 1999 (ex d. lgs 334/99) che ora lo stesso dossier Expo richiede come “urgente”.
Per tutta riposta la Società guidata da Giuseppe Sala annuncia di aver escluso la Ecoltecnica dall’ambito di variante, di aver preso atto che l’azienda è inserita nell’Inventario nazionale degli stabilimenti a rischio rilevante (RIR) e che quindi predisporrà uno specifico elaborato tecnico per garantire la sicurezza e la compatibilità delle opere con le attività prodotte dall’azienda. Insomma, il problema è aggirato. La difficile convivenza con l’impianto sarà un problema dei futuri residenti.
LE ALTRE INDUSTRIE A RISCHIO IMPATTO SU EXPO
Ma quello di Ecoltecnica non è l’unico caso di un’industria che tratta sostanze pericolose a due passi da Expo. Basta dare un’occhiata alla mappa realizzata da Arpa Lombardia per notare quanti siti siano da considerare sensibili, critici e forse incompatibili con l’evento e soprattutto con la sua eredità di zona residenziale. Sempre a ridosso dell’area Expo c’è ad esempio la Dipharma Francis, un’altra industria chimica classificata a “rischio di incidente rilevante”. Aldilà del piano rischi, che attualmente è in fase di aggiornamento e prevede esplosioni e incidenti solo all’interno del perimetro di fabbrica, l’archivio Arpa riporta alcuni esposti riguardanti odori molesti riconducibili al non corretto funzionamento dell’impianto di depurazione delle acque. Insomma, non proprio un paradiso in terra per chi sogna di vivere all’ombra di Expo. Poi ci sono le industrie che non sono classificate a rischio rilevante ma che comportano criticità e che nel numero e nella tipologia di attività rivelano come si voglia trasformare un’area a vocazione industriale in residenziale. Accollando il rischio a chi comprerà casa. Se ne contano sette nel raggio di sei chilometri. Le analisi del rischio dicono che la loro pericolosità è da considerarsi ridotta in virtù della distanza dal sito Expo e dalla distanza massima di diffusione degli effetti di un incidente industriale. La più vicina è la Siochem di Bollate che fa commercializzazione e logistica di varie sostanze chimiche (solventi, plastificanti, glicerine…) ma stando a 1,2 chilometri dal limite dell’area Expo e raggiungendo un massimo calcolato di 51 metri di propagazione degli effetti da incidente non viene considerata un pericolo rosso. Stesso discorso per la vicina Rodhia Italia che è a circa 1,3 chilometri dal limite dell’area Expo e produce ausiliari chimici, tensioattivi, emulsionanti e disperdenti. Seguono altre cinque industrie. Poi ci sono la Arkema di Rho che produce fertilizzanti chimici, la Bitolea specializzata in solventi organici e diluenti, la Eihenmann&Veronelli ed Eni con il suo deposito di idrocarburi. Tutte concorrono a complicare la trasformazione urbanistica dell’area di Rho-Pero, sotto il profilo della compatibilità e del rischio ambientale che insieme al rumore rischiano di affossare quel business del mattone con cui il Comune conta di rifarsi.
TRA DUE AUTOSTRADE
Ma la storica presenza di industrie comporta anche un forte inquinamento acustico che rende l’area poco attrattiva per futuri inquilini. Il rumore rilevato da Arpa è tale che nel Rapporto Ambientale redatto su indicazione di Regione Lombardia si auspicano rilevanti opere di mitigazione acustica. Una porzione importante dell’Expo Village sorgerà poi nelle fasce di pertinenza acustica dell’autostrada e alcune abitazioni saranno distanti solo 60 metri dal guardrail, in una strettoia di territorio che per soli 700 metri divide la A4 e la A8. Insomma, l’Expo degli orti dopo il 2015 rischia di passare alla storia come un esempio di pubblicità ingannevole realizzata da un soggetto pubblico.
di Martino Valente
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO:
Articolo :- “Industrie chimiche e terreni inquinati. Ecco dove sorgerà l’Expo Village” e più precisamente al capoverso “Ecoltecnica, l’industria sotto inchiesta” apparso su ilfattoquotidiano.it del 26.06.2011 Le indagini che nell’anno 2003 hanno coinvolto gli amministratori di Ecoltecnica si sono concluse con una sentenza definitiva di assoluzione perché “il fatto non sussiste” da parte di tutti i gradi di giudizio (vedi sentenza n. 640/2006 del Tribunale di Milano e n° 1076/2009 della Corte d’Appello di Milano a seguito ricorso richiesto dal P.M.). Pertanto Lei comprende che le notizie diffamatorie destituite di ogni fondamento, leggibili anche nella interrogazione parlamentare dell’On. Peluffo, linkata all’ articolo creano nel settore situazioni di forti tensioni commerciali e di credibilità per le aziende impropriamente coinvolte. Riguardo alle indagini del maggio 2011 che vengono riportate accostando Ecoltecnica alla ex SISAS non vi è stato nessun atto con incolpazioni od imputazioni a carico della società Ecoltecnica Riguardo infine alla normativa Seveso (aziende a rischio di incidente rilevante) si fa presente che la scrivente azienda ha il proprio Piano d’Emergenza e che il Piano di Emergenza Esterno è un atto a carico del Comune
Adele Marelli
Presidente, Ecoltecnica Italiana SpA