“Saldi, saldi, saldi, quanti saldi!! Lodati siano i saldi!”, cantano in questi giorni coloro che attendono con ansia il 2 luglio, data unica nazionale in cui avrà inizio l’ennesima stagione di sconti. Finalmente i consumi nel nostro martoriato Paese potranno ripartire. Ma è veramente così? E soprattutto, è davvero necessario basare la propria vita sui consumi, o l’economia nazionale sulla (continua) ripresa degli stessi?
Chissà, forse ha ragione chi consiglia di spendere, non essendoci niente di peggio della crescita negativa (!) in un sistema basato sulla crescita illimitata del Pil. Hanno ragione Codacons e Confesercenti quando propongono di anticipare di anno in anno i saldi estivi o di Natale, in un Paese in cui da sessant’anni uno dei principali scopi sembra quello di imitare (dove e come conviene, ovviamente) nazioni come Gran Bretagna e Stati Uniti, punte di lancia del turbo-capitalismo/liberismo e dell’iper-consumismo, in cui i saldi per le Feste natalizie iniziano ormai a fine novembre. Ha ragione la maggioranza degli italiani quando richiede a gran voce i suddetti saldi anticipati o i negozi aperti la domenica, se viviamo in un sistema che non permette quasi più a nessuno di rinunciare all’acquisto, consumo e smaltimento in tempi sempre più brevi di ogni tipo di bene e di servizio.
Ma hanno mai pensato Codacons o la marea di persone convinte che tutto possa funzionare così com’é a ciò che cambierà per la nostra economia dopo essersi riversati a fare acquisti per amore della ripresa dei consumi? Non cambierà nulla. Questo é il punto. Starsene qualche ora in coda fra i parcheggi e le casse dei centri commerciali, oltre che intasare strade prima e discariche poi, può dare l’illusione ancora per qualche tempo di un (certo) benessere diffuso, può addirittura far salire il Pil di una frazione di punto percentuale, ma non risolve il problema.
Se tutti ci mettessimo oggi a comprare scarpe, vestiti, televisori al plasma o l’ennesimo telefono cellulare, come potremmo dire a politici ed economisti che, fra un mese o due, saremmo ancora al punto di partenza? E come possiamo far capire a chi pensa che la soluzione ai nostri problemi (economici piuttosto che esistenziali) sia quella di spendere e consumare, che questa è invece l’origine di tutti i nostri guai?
Non potremmo comprare un televisore al mese nemmeno se lo volessimo. Soprattutto in un momento di “crisi” come questo. Quindi, assistere alla svendita di questo tipo di sistema (iniziata già da tempo dai creativi della finanza, oltre che dai soliti politici) sembra l’unica cosa che ci è concessa di fare. A meno che non ci decidiamo con tutta la forza, la fatica e la pazienza necessarie a cambiare rotta. Cambiare rotta nel nostro approccio con la vita, col lavoro, col “consumo”, con gli altri e soprattutto con noi stessi. Magari iniziando ad unire ciò che di buono c’era una volta a ciò che di buono riesce a offrire il presente. O dimenticandoci una volta per tutte l’ormai inutile e fittizia distinzione fra destra e sinistra, con il loro corollario di ideologie e schemi mentali ormai morti e sepolti dalla storia e dagli eventi.
Dovremmo iniziare ad essere positivi, più che “ottimisti”, cercando di “contagiare” chi ci sta attorno, ma evitando inutili e fastidiose prediche a chi ancora non vuole capire che la way of life occidentale ha decisamente fallito nell’intento di farci vivere “meglio”, o di renderci più felici. Ma per essere davvero il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, abbiamo bisogno di tutti i mezzi a nostra disposizione. A partire dalla nostra intelligenza.