Il sindaco di Parma Pietro Vignali resta aggrappato allo scranno di primo cittadino, nonstante gli scandali, la corruzione e una giunta che gli si sbriciola in mano.
Dopo aver perso due assessori (dimissionari) in nemmeno sei ore, dopo gli undici arresti per corruzione che hanno coinvolto a vario titolo uomini a lui vicini, a partire dal comandante dei vigili urbani Jacobazzi che lo stesso sindaco aveva voluto per ricostruire l’immagine della polizia municipale dopo il caso Bonsu,Vignali continua imperterrito ad evitare una resa dei conti, perlomeno morale, con la città che ha amministrato con una certa disinvoltura da parecchio tempo.
Undici arresti per corruzione, in un comune relativamente piccolo come quello di Parma, sarebbero di per sé già un valido motivo per farsi da parte. Ma a Parma, nell’epoca Vignali, non è successo solo questo. Quello che ha preoccupato maggiormente sono i buchi accumulati dalle società partecipate del Comune.
A marzo l’ultimo campanello d’allarme di una lunga serie di critiche avvisaglie: le dimissioni del collegio dei revisori dei conti, con la conseguente nomina in fretta e furia del nuovo organo.
La situazione attuale non è solo preoccupante: le 32 società a capitale municipale, comunemente definite per uno strano scherzo del destino “controllate”, hanno portato in dote qualcosa come 335 milioni di euro di debiti a fine 2009 con un’esposizione arrivata a toccare quota 262 milioni quando nel 2007 era ferma a 139.
Operazioni sciagurate come quella della metropolitana per cui si attende ancora l’intervento del Governo, che provvederà parzialmente a rimborsare il Comune, il quale, però, dovrà superare ancora lo scoglio della Regione che si è messa di traverso, oltre ad affrontare il contenzioso con la Pizzarotti spa che avrebbe dovuto realizzare l’opera.
Altri incidenti di percorso di un disinvolto uso della finanza pubblica, come l’emblematico caso Tep e dei milioni “spariti” dalle disponibilità della società che gestisce il trasporto pubblico cittadino o l’operazione che ha portato a inglobare in Intesa la Banca del Monte di Parma (provata dall‘ affaire Parmalat e dall’ultimo crac, quello di Burani) sono le tappe di una via crucis che hanno portato all’attuale stallo con previsioni di fine anno che parlano di (almeno) 500milioni di euro di buco.
Nel 2008 Catania fu salvata da un intervento miracoloso – un assegno di 140 milioni firmato dal governo centrale – che evitò all’ultimo il peggio. Parma, oggi, si avvia pericolosamente lungo la stessa strada e operazioni di puro marketing come ad esempio la missione negli Emirati, strampalato tentativo di agganciare uno sceicco cui affibbiare il “baraccone” Spip coi suoi 90 milioni di debito e il conferimento del titolo di “Città Europea dello Sport 2011” (definito pomposamente il progetto dell’anno) paiono avere più che altro lo scopo di creare una cortina fumogena e distogliere l’attenzione generale di stampa e cittadini dal dissesto sempre più evidente.
Alla luce di tutto ciò, gli incroci pericolosi di starlette della corte di Lele Mora, quali Nadia Macrì e Sara Tommasi sulla via del sindaco Pietro Vignali. Infine, molto più pesanti, non di certo dal punto di vista mediatico, le sparate a zero del “commissario” Varazzani, l’uomo inviato dal ministro Tremonti a mettere una pezza sulle spregiudicate manovre amministrative relative alle municipalizzate più a rischio.
Ora le frecce a disposizione del sindaco parmense sono praticamente finite. Raschiato il barile, a Vignali&C. non servirebbe nemmeno rispolverare l’antica amicizia con Gianni Letta.
Il de profundis per la giunta Vignali è suonato. Chiedergli di dimettersi è il minimo che si possa fare.