Cari presidenti, il virus del calcio scommesse ciclicamente riemerge e contamina. Per contrastarlo vi sento parlare della necessità di introdurre nuove regole, dell’istituzione di Task Force, di maggiori controlli. Temo però che tutto questo sia lontano dalla vera natura della malattia. Se non si rinforzano le difese immunitarie del nostro sport, mettendo al centro i valori della lealtà sportiva e della correttezza, prima o poi ci ritroveremo ancora una volta raccolti a piangere intorno al capezzale del povero malato. Perché il virus è così, muta, diventa resistente alle medicine e poi appena le difese si abbassano, colpisce. I rimedi migliori in questi casi sono sempre gli stessi: prevenire e sviluppare i giusti anticorpi.
A volte basta osservare le piccole cose per capire come funzionano quelle più grandi. Pochi giorni fa mi trovavo a Vitulano, un paesino arrampicato sulle montagne del Beneventano, dove si stava svolgendo il 7° torneo di Calcio Giovanile dal titolo: “Scuola, sport, ambiente, insieme si cresce”. Un torneo di calcio che il Coni, la Figc, oltre una lunga serie di enti locali, patrocinano. Ho due figli che giocano a calcio, il più grande ha vinto il campionato della Provincia di Roma, e con altri giovani selezionati ha partecipato al torneo con l’ ASD Recine di Velletri. Si trattava di una squadra improvvisata formata da ragazzi che si incontravano per la prima volta. Sono scesi in campo contro Lazio, Napoli, Bari, Reggina e Lecce. Vi lascio immaginare l’emozione di confrontarsi con i coetanei più blasonati di loro. Ma a volte il coraggio di provare, la volontà di mettersi in mostra, la determinazione e la capacità di fare gruppo, e soprattutto di sognare può fare miracoli. Ed è quello che accade al Recine di Velletri. Quel gruppo improvvisato di ragazzini riesce a pareggiare con il Lecce, vicecampione d’Italia, dopo essere andato sotto di due gol. Una rimonta emozionante. E poi incoraggiati da quel risultato inaspettato travolgono la rappresentativa del Benevento.
Alla fine, nella classifica del loro girone, il Recine si ritrova al secondo posto con il vantaggio delle reti segnate rispetto al Lecce, in piena corsa per partecipare alle finali con Lazio e Napoli. Ma è successo quello che mai e poi mai dovrebbe accadere in una partita di calcio, nello sport , nella vita: una mancanza di lealtà difficile da capire e digerire in assoluto, soprattutto lo è all’età di quattordici anni. La Reggina, già qualificata per le finali, affronta il Lecce. Se avesse giocato regolarmente, essendo più forte come poi ha dimostrato in finale dove l’ha battuto, avrebbe vinto, consentendo al Recine di disputare le fasi finali. Invece Reggina e Lecce si accordano per un pareggio. Anche nel fare le cose sporche c’è uno stile. Loro hanno scelto il peggiore. Tutto avviene nell’indifferenza un po’ imbarazzata degli organizzatori del Torneo. Tra i fischi del pubblico, le lacrime di rabbia dei ragazzi del Recine Velletri, e i genitori dei giocatori della Reggina che mortificati chiedono scusa a chi sta a guardare: quei calciatori confezionano una sequela irritante e imbarazzante di passaggi indietro, anche verso il portiere. Al punto che fin anche un calciatore della Reggina si rivolta verso il suo allenatore e grida :”Io così non posso giocare!”. Non accade nulla. Deve farsene una ragione. E’ stato deciso così e così deve essere. Lecce e Reggina pareggiano. E’ così perché si conoscono gli allenatori? Perché è più prestigioso. Per gli organizzatori del torneo avere in finale i vicecampioni d’Italia piuttosto che una sconosciuta e improvvisata squadra di volenterosi ragazzini? La risposta poco importa.Chi ha organizzato il torneo con il vostro patrocino e con soldi pubblici, avrebbe potuto mandare un segnale chiaro e inequivocabile, mantenere alto il significato più nobile dello sport: squalificare Reggina e Lecce per comportamento anti sportivo. L’arbitro federale avrebbe potuto segnalare agli uffici competenti. Invece no, hanno preferito far finta di nulla. E’ stato difficile nel viaggio di ritorno cercare di spiegare a mio figlio e a i suoi compagni il perché di quello che era successo.
Aiutatemi voi a spiegarlo. Ma forse sarà difficile pure per voi trovare una spiegazione. Quello che però potete fare è vigilare e chiedere spiegazioni per esempio agli allenatori della Regina, al suo presidente, ai giovani giocatori. E soprattutto a chi organizza un torneo con il vostro marchio e patrocinio, e soprattutto con il contributo di denaro pubblico. Spero lo facciate, almeno che non vogliate alimentare l’idea che il calcio deve andare avanti tutti i costi come Denny Boodman il pianista di Novecento che continua a suonare mentre la nave sprofonda nell’oceano. L’organizzatore di quel Torneo è un curioso signore che ha giocato con scarsa fortuna nelle giovanili del Napoli, si chiama Mario Di Dio, che è anche il direttore generale di una squadra che porta il suo nome. Appena poche ore prima di quell’ infame partita aveva portato tutti i ragazzi e i loro allenatori a lezione di lealtà sportiva nell’aula magna del Comune. In pompa magna, avvolti dalla fascia tricolore hanno sfilato i sindaci dei paesi che ospitavano il torneo, assessori regionali allo sport, i rappresentanti della Figc Campania, uomini della comunità montana e della Pro Loco. E tutti, con in testa Di Dio, hanno parlato di lealtà, rispetto, correttezza, agonismo nello sport, valori da applicare nella vita e nel torneo. In fondo, dicono ai ragazzi che li guardavano un po’ annoiati, è per questo che si organizzano questi eventi “per crescere”, così c’è scritto sulle locandine. Tutti d’accordo prima nell’incensare la lealtà , tutti d’accordo dopo la partita nel voltare le spalle e fare finta di nulla. Si potrà dire a quei ragazzi del Recine che anche quest’ipocrisia fa parte dello sport e della vita. Vero. Quello che rimane più difficile da dire è che non c’è neppure la speranza di migliorarlo il nostro sport, che è soprattutto insegnamento di vita. Ecco questo no, non vorrei proprio dirlo.
di Sigfrido Ranucci (Coautore Report)