Secondo l’Istat, in Italia 800mila donne all’arrivo di un figlio sono state costrette a lasciare il lavoro nel 2010, perché licenziate o messe nella condizione di doversi dimettere. Una volta lasciato il lavoro, solo il 40,7% ha poi ripreso un’attività. Sempre secondo l’Istat, il 43% delle donne italiane con meno di quarant’anni non rientrerebbe tra le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato oggetto di riferimento della legge 53/2000. Il dato arriva a toccare il 55% tra le lavoratrici sotto i 30 anni.
Piaga generalizzata, ma comunque non giustificabile. È da poco uscito negli Stati Uniti un testo che sta già diventando l’avamposto delle mamme lavoratrici post-crisi (ammesso che si possa parlare di post): Shattered: modern motherhood and the illusion of equality (traducibile come: “A pezzi: la maternità moderna e l’illusione dell’uguaglianza”) di Rebecca Asher fotografa questo disagio. Non è ancora arrivato in Italia ma già se ne parla: racconta come con la maternità tante donne lavoratrici siano costrette a tornare indietro diverse caselle del proprio percorso professionale.
Torniamo a Virginia. Sapete cosa ha deciso di fare? Non si è piegata al ricatto del suo datore di lavoro e ha deciso di mettersi in proprio. È diventata imprenditrice online, titolare di un outlet sul web dedicato all’abbigliamento per i piccoli. Per la sua attività Virginia oggi si occupa di tutto: dall’acquisto dei capi alle spedizioni, fino alle campagne pubblicitarie.
Virginia, neomamma e imprenditrice sul web. E non è affatto un caso isolato. La Rete, in un futuro ormai presente, dovrà sopperire alla mancanza di politiche di tutela per la maternità?
Nella foto, Virginia Scirè. Per ingrandire clicca qui