Giù le tasse, anche in Germania. La proposta dell’esecutivo tedesco, diffusa giovedì scorso dal portavoce Steffen Seibert parla chiaro: “Prima del termine della legislatura (2013) il governo federale approverà un allentamento della pressione fiscale per i contribuenti a reddito medio-basso”. La dichiarazione segue un lungo dibattito interno alla coalizione di maggioranza, infiammato dall’FDP, il partito liberale guidato da Philipp Rösler, lo stesso che nelle ultime elezioni regionali ha perso per strada metà del suo elettorato. Ma se FDP e CSU (la versione bavarese dei Cristiano-Democratici) sono tra i grandi sostenitori dei tagli, i cristiano-democratici della CDU, lo stesso partito di Angela Merkel (e il maggiore nella coalizione di governo), remano contro, soprattutto a livello a regionale.

“In questa legislatura è impensabile un taglio delle tasse. Sarebbe un atto irresponsabile”, ha dichiarato Reiner Haseloff (CDU), primo ministro della regione Sassonia-Anhalt. Anche Christine Lieberknecht (CDU), primo ministro della Turingia fa sapere che “non si può fare: la priorità è tenere sotto controllo il debito”. I ministri dei governi regionali compongono anche il Bundesrat, il Consiglio Federale, senza la cui approvazione un’eventuale riforma fiscale non potrebbe passare. “Nel Bundesrat non ci sarebbe la maggioranza per i tagli”, commenta il quotidiano economico tedesco Handelsblatt. “Non sono solo le regioni guidate dai verdi e dai socialdemocratici ad essere contro, ma anche alcuni governatori cristiano-democratici, in particolare in Germania est”.

Il taglio delle tasse porterebbe finalmente un successo politico all’FDP, che potrebbe riprendersi dalla débacle elettorale del 2011. Ma a quale prezzo? “In cambio di una vittoria dell’FDP i primi ministri dei Land (governatori delle regioni) si troverebbero senza risorse, a causa delle minori entrate fiscali, e non riuscirebbero ad arrivare al 2020 senza accendere nuovi debiti”, commenta Handelsblatt. E ciò significherebbe scontrarsi con la nuova norma costituzionale, approvata nel 2009 nell’ambito della riforma del federalismo tedesco, che vieta ai singoli Land di contrarre nuovi debiti a partire dal 2020. “Prima consolidiamo le finanze pubbliche e poi pensiamo, eventualmente, a un taglio delle tasse”, ha dichiarato Hermann Gröhe, segretario generale della CDU. “Al momento non è ancora chiaro quale margine manovra abbiamo per la manovra. Quindi è inutile giocare con le aliquote”.

In effetti il debito pubblico tedesco in proporzione al Prodotto Interno Lordo è cresciuto del 14,4% negli ultimi sei anni (contro il +14,3% dell’Italia) e oggi la Germania ha un rapporto debito/PIL pari all’83,2% (in Italia è il 119%). In termini assoluti il debito tedesco ha superato quello italiano, portandosi a 2.079 miliardi di euro (1.843 miliardi in Italia), ma a contare, quando si parla di rapporto tra debito e Pil, è soprattutto il denominatore: il prodotto interno lordo. In Germania, negli ultimi sei anni, contemporaneamente all’aumento dell’indebitamento pubblico, il Pil è cresciuto dell’8,6, mentre in Italia è sceso dell’1,1’%. Lo stesso vale per la produzione industriale: +4,2% quella tedesca dal 2005 al 2010, -11,4% quella italiana. I numeri tedeschi parlano di un peggioramento del debito ma di un complessivo stato di salute dell’economia, che è tornata a crescere. E anche se – forse – ci sarebbero i margini per qualche mirato taglio delle tasse, la maggioranza di governo preferisce procedere con i piedi di piombo. Pena il tradimento del nuovo patto federalista, firmato nel 2009.

In Italia, invece, si preferisce procedere al buio e a farne le spese, sempre più spesso, sono i comuni, le province e le regioni: gli attori protagonisti del federalismo di casa nostra e delle sue magnifiche sorti.

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