Segretaria del Ps e sindaco di Lille, la "dura e pura" della sinistra d'Oltralpe ha deciso di candidarsi nella corsa che sceglierà lo sfidante di Sarkozy all'Eliseo. Una discesa in campo maturata dopo lo scandalo che ha travolto Strauss Khan
Prima dello scandalo che ha travolto Dominique Strauss-Kahn, la Aubry, sindaco della nordica e rossa Lilla dal 2001 (anche se lei, in realtà, è parigina), aveva dato il suo appoggio al direttore generale del Fondo monetario internazionale. Una decisione tattica (Dsk era il socialista con più chance di spuntarla contro Sarkozy), non proprio dettata dal cuore (lui è molto più moderato e attento alle esigenze dell’alta finanza, lei una “pura e dura” della sinistra, anche se con radici cattoliche). Dopo il patatrac, però, Martine ha deciso che si presenterà. E potrebbe farcela. Negli ultimi giorni sta salendo nei sondaggi. In un’inchiesta Ifop, la Aubry tallona ormai (lei al 34% dei consensi fra i simpatizzanti della sinistra, lui al 37%) François Hollande, ex marito della Royal, in lizza da tempo. Ci proverà di nuovo pure Ségolène, ma stavolta non ha grandi possibilità. In ogni caso, vista la situazione (drammatica) di Nicolas, piantato ai minimi nei sondaggi e malgrado la crisi endemica del Partito socialista francese, il suo candidato potrebbe diventare miracolosamente Presidente. Forse proprio Martine.
Ma chi è la Aubry? Una che sorride poco (ultimamente, però, è migliorata da questo punto di vista) e il contrario della Royal, dalla femminilità sempre più ostentata (botox compreso). Il look, a parte qualche dettaglio etnico (sciarpina eccetera), non è mai stato una priorità per la signora Aubry. Classe 1950, è figlia di Jacques Delors, socialista, ministro delle Finanze nel primo governo Mitterrand e il mitico presidente della Commissione europea per un decennio dal 1985. Deve molto alla tradizione politica del padre, un certo socialismo cattolico dal pronunciato senso dello Stato (in Italia direbbero forse che è una cattocomunista, ma comunista Martine, sia chiaro, non lo è mai stata). Studentessa brillante delle migliori università e grandes écoles del Paese, compresa l’immancabile Ena, fucina degli alti funzionari pubblici, già dall’81, quando la sinistra andò al potere con Mitterrand, si ritrovò a lavorare al ministero del Lavoro, facendosi chiamare con il nome da sposata, Aubry, attenta che nessuno, nei limiti del possibile, sapesse di chi fosse figlia.
In seguito ha avuto diverse vite, perfino una parentesi nel privato (dal 1998 al ’91) come vicedirettore generale del colosso Pechiney. Ma al seguito dell’allora presidente Jean Gandois, industriale illuminato, come ce ne erano a quel tempo in Francia. Per il resto è stata ministro del Lavoro del 1991 al ’93 e poi dell’Impiego e della Solidarietà fra il ’97 e il 2000, quando varò la riforma delle 35 ore settimanali lavorative in Francia, rimasto caso unico in Europa: una conquista per i lavoratori, anche se la svolta è ancora oggi criticatissima e non solo dagli imprenditori. Decisione anacronistica, avrebbe accelerato la delocalizzazione industriale in Francia, dove ormai il manifatturiero è tramontato e le piccole e medie imprese arrancano ancora di più che in Italia. Altra vita di Martine, il suo impegno nel Nord, la terra dell’industria pesante in crisi. Come sindaco di Lilla, è riuscita a promuovere una sorta di rinascita della città, mediante progetti culturali ed ecologici.
Con il passare degli anni, Martine sembra essersi spostata sempre più a sinistra rispetto al passato. Le maggiori critiche che le vengono rivolte? Di essere rigida. Una diligente tecnocrate, che guarda al passato. Che pensa molto alla difesa dei diritti (e dei privilegi) dei funzionari pubblici più che ai precari. Distante dalla Francia contemporanea. “E’ una moderna donna degli anni Settanta”, ha scritto ironicamente Eric Zemmour, giornalista dalle simpatie di destra. Durante le vacanze per Martine niente Costa azzurra. Ma, al limite, una scappata in Toscana, con il secondo marito, un avvocato di Lilla, del suo stesso stampo. A leggere libri sotto un albero. Ad ascoltare musica barocca. A visitare qualche chiesa romanica nei dintorni. L’Italia è un’altra delle sue passioni. Ma Berlusconi, lo ha detto a più riprese, no. Per niente.