È dal giorno della pubblicazione del disco Marinai, profeti e balene che mi sono ripromesso di intervistare Vinicio Capossela per il blog. Non un’intervista sul disco, che – dico subito – è l’ennesimo, imperdibile, capolavoro dell’artista, attorno al quale è stato costruito uno spettacolo dal vivo davvero entusiasmante, ma sul Capossela meno noto, quello che ho la fortuna di conoscere da 25 anni, da quando era solo l’amico Vinicio.
Il raduno del Fatto Quotidiano al Fuori Orario mi ha fornito l’occasione, per cui è bastata una telefonata per mettere in programma: ore 24, palco centrale, Franchino intervista Vinicio Capossela. Ovviamente, da quel momento ho pensato a tutto… tranne che a prepararmi in modo adeguato all’incontro. D’altra parte – pensavo – a cosa mi devo preparare? Non ci si prepara a incontrare un fratello, lo si aspetta solo con gioia!
Sapevo però che la mia impreparazione non l’avrebbe rassicurato. Lui è fatto così. Se sale su un palco, anche quando lo fa in modo informale, in un luogo familiare, difficilmente lascia qualcosa al caso. In pubblico non si improvvisa! Per un istante mi sono riapparse alla memoria le volte in cui l’avevo osservato nelle interminabili ore passate a provare un giro di accordi, un nuovo arrangiamento, una correzione di bozze, la messa a punto di una scenografia…
La prima domanda, infatti, è fallita inesorabilmente.
Vinicio, come stai?
Avrei voluto aggiungere: “È finita la prima parte del tour, sei soddisfatto?”. Ma lui, al “come stai”, mi ha interrotto e ha stravolto l’incontro: “Va bene. Visto che Franchino non si è preparato nulla, facciamo che lo intervisto io”.
Dovevo sapere che la risposta al “come stai”, difficile da ottenere in privato, sarebbe stata impossibile in pubblico. Una volta Paolo Nori, un comune amico, splendido scrittore, dopo aver guardato il film La faccia della terra, riuscì a cogliere un aspetto di Vinicio che mi sembrò particolarmente azzeccato. Paolo sottolineò come l’amore di Capossela per le maschere, il travestimento, la rappresentazione, non fosse solo il tentativo di rendere artisticamente più efficace la riuscita dei brani, ma fosse anche il modo per tenere distinto, e per certi versi preservare, l’artista dall’uomo. È questo che rende l’artista molto più libero.
Conosco bene la sua riluttanza a parlare di sé e la sua difficoltà a mescolarsi tra il pubblico una volta sceso dal palco (unico luogo in cui lo vedo sempre perfettamente a suo agio e dove non risparmia mai alcuna energia). Io dico che è timidezza, riserbo. Alcuni, ahimè, la scambiano per supponenza. A volte ci ridiamo su, come l’altra sera, quando, dopo un rifiuto a una foto (lui ne ha proprio la fobia), il malcapitato ha trovato l’ardire di riavvicinarlo per dirgli: “Ve’, guarda che non sei mica Bob Dylan!” (lui aveva appena finito di cantare sul palco un suo brano When the ship comes in traducendone il testo in italiano).
Per fortuna, la chiacchierata ci ha condotto esattamente dove volevo arrivare. L’occasione è stata una sua domanda sul perché al Fuori Orario facciamo suonare tante cover band e dopo una mia banalissima risposta, sono riuscito a riprendere in mano la situazione e a rivolgergli la seconda domanda.
Ma tu, quando hai preparato l’album Marinai, Profeti e Balene, di fronte alla tanta diffidenza che ti circondava perché ti apprestavi a ultimare un’opera complessa, certamente non da primo ascolto, con quali convinzioni hai potuto mantenere intatti i tuoi intendimenti iniziali?
In effetti, questo disco è nato fra molti scetticismi. Notavo qualche incertezza soprattutto tra gli addetti ai lavori nel mercato della produzione e della distribuzione, ma anche tra i più stretti collaboratori. Oggi sono qui a constatare che da sei settimane il disco è costantemente nei primissimi posti degli album più venduti. Non è mai stata una mia fissazione quella di scalare le classifiche, ma in questo caso il risultato è stato sorprendente per molti. Ciò è indicativo di come spesso si sottovaluti il pubblico preferendo offrirgli prodotti banali, a volte di scarsa qualità e comunque di immediata lettura, perché si pensa che la gente si aspetti questo. Non è così! O meglio, non è solo così.
È vero che il mio disco è il frutto di un lavoro di ricerca attorno a classici della letteratura, opere epiche, figure mitologiche, ma è altrettanto vero che questi capolavori appartengono alla nostra cultura, al nostro patrimonio genetico, e i drammi o le passioni in essi rappresentati sono in fondo la raffigurazione dei grandi interrogativi che l’uomo si pone da sempre nel vivere quotidiano. Il pubblico e i cittadini sono molto più maturi di quello che spesso si è portati a immaginare. Provate solo a pensare a quanto è capitato nei giorni scorsi. Veniamo da giornate entusiasmanti e inaspettate. Forse è la dimostrazione di come la società civile sia almeno due o tre passi più avanti delle sue abituali rappresentanze politiche. Nessun politologo aveva previsto il risultato elettorale, eppure i cittadini si sono dimostrati capaci di saper scegliere, di saper distinguere, di voler un radicale cambiamento.
A proposito, ti ho visto festeggiare la vittoria di Pisapia sul palco di piazza Duomo a Milano, tua città d’adozione…
Ero a festeggiare come tanti cittadini, ero vicino al palco e mi hanno invitato a salire. Sicuramente è stata una gran bella vittoria e a Milano, dopo tanti anni, si respira un’aria diversa. Mi pare che sia riaffiorata la speranza.
Non è un caso che tu sia presente alla Festa per la Costituzione del Fatto. Sei intervenuto varie volte alla Festa del 25 aprile, a Casa Cervi, e spesso ti ho visto in prima linea in battaglie importanti come quella contro la costruzione di una discarica nella piana del Formicoso ad Andretta, oppure a Trieste, dove insieme a Paolo Rumiz sei stato tra i protagonisti di un’importante manifestazione a difesa delle panchine che un’Amministrazione miope aveva tolto da molte piazze della città. Inoltre ti ho visto sul palco per Emergency, e invitare Enzo Del Re (grazie, Enzo, per tutto quel che hai fatto prima di lasciarci!), al concerto del Primo Maggio a Roma…
Sì, è vero. Ho partecipato a queste manifestazioni, ovvie prese di posizione su argomenti che non dovrebbero neppure essere oggetto di discussione. Siamo costretti a difendere anche diritti sacrosanti, come l’importanza dell’integrità ambientale di un territorio, che in questo ha la sua maggiore risorsa, i diritti sanciti dalla Costituzione e i valori della Resistenza. La cosa più naturale sarebbe parteciparvi da normale cittadino, come fate voi, perché siamo uniti da un comune sentire e siamo mossi dalla stessa volontà. Invece, troppo spesso si devono utilizzare volti noti per dare risonanza a questioni che altrimenti passerebbero inosservate. Gli eventi che hai citato sono importanti in sé, non perché vi aderiscano Vinicio Capossela o altri, e ci sono persone molto preparate che dedicano la vita a questo, eppure non basta, c’è bisogno della risonanza mediatica, non basta il buon senso. Il mio timore, nel parteciparvi, è proprio quello che, una volta usciti di scena, si spengano i riflettori e nessuno più ne parli.
Il tempo a disposizione per l’intervista è volato via, nel pochissimo che ci resta ci presentiamo a vicenda alcuni tra i nostri “peggiori amici”, come lui ama definirli, e dopo aver accompagnato Cinaski durante la lettura di un suo racconto, dedica a tutta la combriccola del Chiavicone una splendida versione di In Clandestinità, “dove mister Pall incontra mister Mall in tutta libertà dalla clandestinità”.
Al mitico Vittorio Bonetti, l’ingrato compito di mettere la parola fine a una nottata in cui, dopo tanto tempo, Vinicio e io riusciamo ad uscire insieme e insieme ci gustiamo i rumori e le luci del mattino.
“Ci vediamo domani, caro. Prepara il salame!”.
È stato il suo modo di salutarmi e io non ho più avuto bisogno di chiedergli: “Come stai?”.
Nella foto di Luca Rossi, Vinicio Capossela e Jacopo Fo alla festa del Fatto al Circolo Fuori Orario di Gattatico (Reggio Emilia). Per ingrandire clicca qui